Economia

Pokémon Go, il made in Italy e l’innovazione

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L'Analisi|capitale umano

Pokémon Go, il made in Italy e l’innovazione

Vittime dell’herding, anche noi abbiamo seguito il branco: scaricata l’App Pokémon Go, abbiamo cercato mostriciattoli in giro per l’Italia, scalando le classifiche. Il divertimento si è interrotto quando, saliti in treno a Bologna per raggiungere Roma, convinti di cacciare nuovi Pokémon in giro per il Paese, la linea dati del cellulare ci ha traditi. I tentativi di agganciare la linea del treno non hanno dato risultati, mentre i nostri competitor in Giappone postavano catture epiche sull’Alta velocità verso Kyoto e dalla metropolitana di Hong Kong rispondevano colpo su colpo. Giunti a destinazione, ci siamo precipitati a un’importante riunione per la promozione del made in Italy e del sistema Paese. Uno di noi, complice la solida rete 4G, non ha saputo resistere e si è guardato intorno per capire se ci fosse qualche preda nei paraggi. Il nostro gruppetto ha probabilmente perso un po’ di reputazione, a giudicare dagli sguardi dei presenti. Quasi tutti conoscevano, per esperienza diretta o per sentito dire, il successo globale del nuovo gioco di Nintendo e altri partner, ma l’atmosfera dell’incontro era seria e non lasciava spazio ad americanate per ragazzini.

La riunione è proseguita parlando di grandi strategie, dell’importanza dell’innovazione, della forza delle nostre piccole e medie imprese e di quel serbatoio formidabile che è il nostro patrimonio culturale. A questo punto, il più serio tra noi, ha rilanciato proponendo di organizzare un grande evento con scontri tra gladiatori Pokémon al Colosseo e come premio alcuni extra Pokémon nascosti nella Galleria degli Uffizi per attirare l’attenzione globale. Abbiamo subito capito che tutti i presenti avevano esaurito la pazienza e abbiamo lasciato perdere, in attesa di uscire per continuare la caccia. Poiché anche durante il viaggio di ritorno gli smartphone erano in panne ci siamo messi a discutere, sul significato e sulle potenzialità che questo fenomeno globale potrebbe offrire.

Sin dal giorno della sua première internazionale Pokémon Go ha attratto irresistibilmente milioni di giocatori in tutto il mondo. Tutti intenti a catturare, allenare e muovere i leggendari animaletti cartoon-based, sprigionati dalla fantasia di Satoshi Tajiri. Spin-off di un videogioco pubblicato da Nintendo per la console Game Boy, i Pokémon sono rappresentanti d’eccezione di quell’immaginario di stampo fantastico che sta dietro all’entertainment giapponese fatto di anime, manga e cosplay.

L’applicazione mobile Pokémon Go distribuita da Nintendo usa Internet, il sistema GPS e la camera dei nostri smartphone iOs o Android per sovraimporre digitalmente queste strane creature animate su qualsiasi scena reale i nostri telefoni stiano riprendendo. Dal punta di vista tecnologico, il sistema incorpora features ormai stabili e facilmente disponibili appartenenti a quella particolare tecnologia digitale detta di realtà aumentata (altri esempi recenti sono stati i Google Glass e i Microsoft HoloLens). Così tanto stabili sono tali caratteristiche tecnologiche da aver fatto dire a molti esperti del settore (ad esempio Ken Perlin del Media Research Lab della New York University) che Pokémon Go, per quanto appassionante, è più un caso di gaming mobile e location-based tradizionale più che un genuino esempio di realtà aumentata, la quale richiederebbe invece una maggiore sofisticazione a livello di grafica computerizzata per rendere l’esperienza di intrattenimento più realistica e meno virtuale. Mettendo da parte le disquisizioni tecnologiche, a Pokémon Go va riconosciuto tuttavia il grande merito di avere abituato in due settimane milioni di persone a godere di esperienze virtualizzanti, semplicemente mescolando la forza di un brand commerciale divertente come i Pokémon con tecnologie elettroniche di largo consumo.

In prospettiva, però, il caso Pokémon conferma che la capacità di introdurre oggetti virtuali nelle nostre esperienze tecnologiche, come parte integrante della nostra percezione della realtà, potrebbe rivelarsi straordinariamente utile, e non solo divertente. Si pensi agli scenari per lo shopping on line e per il turismo o a guide per muoversi in città anche in situazioni di disabilità o ai cruscotti delle automobili o all’assistenza in attività di fitting e wellness outdoor. O a nuovi modi per accompagnare le attività di montaggio e riparazione per operatori industriali. O alla logistica. O alla chirurgia robotica a distanza. Per non parlare delle applicazioni militari e di quelle dedicate alla sicurezza personale e collettiva. Insomma solo alcuni esempi per fare capire che il meglio, anche in questo ambito, lo dobbiamo ancora “vedere”, ma probabilmente sarà molto presto.

Quante occasioni potrebbero avere anche le imprese italiane pur non controllando nessuna delle tecnologie coinvolte? Tantissime, se impariamo a prenderci meno sul serio e usare il linguaggio dei tempi in cui viviamo. Un Paese che non eccelle nello sviluppo di nuove tecnologie può produrre innovazione se impara a combinarle in modo originale e creativo, usando peraltro una competenza tutta italiana. Ben vengano quindi gli investimenti in fattori abilitanti (come la superbanda) che finalmente si stanno sbloccando, ma senza un chiaro supporto del capitale umano saremo sempre più un pezzo indistinto del branco che segue senza guidare.

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