Economia

L’Italia può cavalcare la nuova rivoluzione industriale cinese

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L'Analisi|competitività

L’Italia può cavalcare la nuova rivoluzione industriale cinese

In trent’anni da Paese tra i più poveri a seconda economia del mondo, la Cina – come riportano i dati de Il Sole – corre verso una nuova meta, non facile: diventare un paese a forte contenuto di automazione industriale e innovazione. La Cina sta generando in altre parole una vera e propria supply side reform. I costi della manodopera sono esplosi e i dati di una ricerca Mc Kinsey mostrano che circa 200 milioni di lavoratori dovranno abbandonare il cosiddetto “old model”, venuto meno anche quell’effetto-produttività causato dalla campagna di privatizzazioni che (metà anni ’90), aveva ridotto i 10 milioni di aziende di Stato a sole 300mila: un cambiamento che pesa l’8% nella crescita del Gdp cinese. In conclusione, fin qui: la Cina non può permettersi di ridurre troppo la crescita, in passato affidata a un incremento della sua forza lavoro e agli investimenti nelle infrastrutture. Ora la partita si gioca sia sul “capitale umano”, capace di contare tra l’11 e il 15% nella crescita cinese, sia sulla produttività che Xi Jinping, nel 2014, ha affidato a un nuovo esercito in marcia, quello dei robot. Con la “robot revolution” Xi ha indicato per la Cina l’ambizioso traguardo di diventare mercato numero 1 (e i robot cinesi hanno già prezzi competitivi, meno 20%). Non esistono pertanto alternative per il sistema industriale cinese. Dal 2013 la Cina ha acquistato assai più robot di tutti gli altri giganti dell’high tech quali Germania, Giappone e Corea del Sud. E c’è chi prevede entro il 2020 una crescita nel ricorso ai robot industriali vicino alle due cifre.

A suon di acquisizioni e di collaborazioni con i principali centri di ricerca, la Cina fa di Industry 4.0 e dello smart manufacturing la priorità dello sviluppo dei prossimi anni (insieme alla sfida ambientale). Le stesse municipalità (Shanghai, in primis) stanno stanziando cifre molto importanti per stimolare le università a sviluppare progetti di ricerca in questa direzione. Una Cina che si trasforma in questo senso rappresenta un’opportunità per il mondo occidentale? Assolutamente sì. La Germania sta, come al solito, cavalcando l’onda; Angela Merkel (2 mesi fa) ha siglato accordi per oltre dieci miliardi. L’Italia, per la sua tradizione e per i risultati ottenuti ad oggi, ha un’opportunità importante. Deve muoversi proattivamente; il ministro Calenda sta definendo il piano Industry 4.0; occorre che questo comprenda anche una finestra sulla Cina nella prospettiva di promuovere quanto di eccellente abbiamo in pancia. L’aggancio con la Cina è importante: non solo per i numeri, ma perché l’Impero di Mezzo, proprio come ha fatto anche per il mondo Web, non si fermerà qui. Proseguirà nella strada intrapresa e introdurrà innovazioni interessanti esportabili anche in occidente (si veda il caso WeChat rispetto a WhatsApp). Meglio non perdere l’opportunità quindi, secondi come siamo nel manifatturiero in Europa e tra i primi leader mondiali dell’automazione industriale.

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