Economia

Secondo semestre in salita per la chimica italiana

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la questione industriale

Secondo semestre in salita per la chimica italiana

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Sugli investimenti delle imprese chimiche italiane nei prossimi mesi nessuno sembra disposto a mettere le mani sul fuoco. Ci sono troppe variabili che non si riescono a controllare, si veda il quadro politico internazionale, ma ci sono anche troppi lacci e lacciuoli burocratici su cui molto si potrebbe e dovrebbe fare per liberare il settore. Il panel congiunturale di mezza estate di Federchimica non trasferisce un quadro completamente ottimistico. Se ci limitiamo alla lettura dei numeri il segno è chiaramente il più (si vedano i grafici di lato).

«Una buona performance delle esportazioni unita a una sostanziale tenuta della domanda interna hanno permesso di veder crescere i livelli produttivi dell’1,7% nella prima parte dell’anno - afferma il presidente di Federchimica Cesare Puccioni -. Anche nel nostro Paese le incertezze sul contesto economico e politico e sul petrolio hanno giocato negativamente mantenendo ancora immutata la frammentarietà degli acquisti che ha caratterizzato tutta la lunga crisi».

LE ROTTE DEI FARMACI ITALIANI
Andamento dei principali mercati esteri (Fonte: Federchimica su dati Istat)

Allargando l’orizzonte allo scenario economico mondiale emerge una crescita moderata per l’industria chimica che quest’anno dovrebbe aumentare i suoi livelli produttivi del 2,5%, in linea con l’anno precedente. In particolare la chimica cinese continua a crescere, ma il tasso si ferma al 6%, quindi molto al di sotto del passato: questo determina in alcuni settori sovraccapacità produttive che gravano sul mercato europeo. La chimica americana dovrebbe rafforzare i suoi tassi di crescita (+2,7% nel 2016 e +4,1% nel 2017), trainati dalle esportazioni dei prodotti della chimica di base e delle plastiche che continueranno ad avvantaggiarsi dell’ampia disponibilità di feedstock a basso costo, connessi allo sviluppo dello shale gas. Infatti, nonostante i prezzi del petrolio e i costi delle produzioni a naphta dei competitor si siano ridotti, c’è stata anche una riduzione dei prezzi del gas naturale e dell’etano, che ha aiutato a sostenere la competitività americana.

LE PROSPETTIVE
Previsioni di crescita per la chimica italiana (Fonte: Federchimica)

Tornando all’Italia e alle previsioni per la seconda parte dell’anno, le imprese non sono in grado di scommettere sul mantenimento del livello di crescita del primo semestre. «Uno scenario economico di crescita molto moderata e denso di incertezze non permetterà all’industria chimica in Italia di mantenere la crescita della prima parte dell’anno e, al massimo, si potrà chiudere il 2016 con un aumento medio dell’1,3% dei volumi produttivi», sostiene Puccioni. La sequenza Brexit, Nizza, Turchia ha contribuito a destabilizzare l’andamento dei consumi e a far prevalere il breve termine sul lungo termine negli ordinativi. Gli ordini sono frazionati, sempre meno di ampio respiro, e a prevalere è più un orizzonte di 2-3 settimane che di 2-3 mesi. Se questo è l’impatto sugli ordini, non ci si può non aspettare che vi sia un impatto sugli investimenti. Nella chimica, quando si parla di innovazione e nuovo, ci si riferisce in genere a impianti, dunque a investimenti ingenti, che richiedono tempi di realizzazione lunghi e quel che è peggio tempi di autorizzazione scoraggianti che possono essere di anni e che non ci rendono competitivi rispetto a molti altri paesi europei.

Guadando la bilancia commerciale ancora una volta, nel 2016, si vede che l’export ha giocato un ruolo fondamentale e in prospettiva continuerà a rappresentare un importante fattore di crescita per il settore. L’export rappresenta ormai il 52% del fatturato delle imprese chimiche e la performance italiana risulta essere tra le migliori nel confronto con i principali produttori europei: dal 2010 l’Italia è seconda solo alla Spagna. In particolare, come spiega il panel, sono i settori della chimica fine e specialistica a mostrare un surplus commerciale in continua espansione dal 2010 e che nel 2015 ha raggiunto quasi i 2,8 miliardi di euro. Il successo sui mercati esteri trova una sua spiegazione nell’innalzamento tecnologico dei prodotti, come dimostrato anche dalla forte crescita dei valori medi unitari (+14,5% dal 2010), ben superiore a quella dei prezzi (8,7%). E non è un caso allora che la chimica sia seconda solo alla farmaceutica nella classifica dei settori manifatturieri italiani basata sull’indice Isco, l’indice sintetico elaborato dall’Istat sulla base di quattro indicatori: la competitività di costo, la reddittività lorda, la propensione all’export e la quota di imprese innovative. Il quadro degli aspetti strutturali della chimica italiana appare molto positivo: il buon posizionamento competitivo si regge sul pilastro rappresentato da quel nucleo consistente di imprese che sono sufficientemente strutturate e hanno la massa critica per riuscire ad affrontare in modo proattivo e deciso le più importanti sfide dell’internazionalizzazione e dell’innovazione. Lo slancio e la forte volontà delle imprese, però, non bastano per vincere le sfide. «L’industria chimica per le sue caratteristiche di complessità deve poter operare con un quadro di riferimento il più possibile certo nelle normative e nell’applicazione delle stesse - conclude Puccioni -. Questo fardello finora pesante in Italia è ora insopportabile perché sull’operatività delle imprese incombe l’instabilità del quadro politico ed economico mondiale».

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