In Germania, oltre la metà delle oltre 6mila imprese manifatturiere con più di 100 milioni di euro di fatturato ha effettuato investimenti – o li sta perfezionando – in Industry 4.0. In particolare, queste aziende stanno puntando sulle interconnessioni fra le diverse parti del ciclo produttivo. Nella tensione evolutiva dei fenomeni industriali non c’è nulla di nuovo, ma è tutto nuovo. La strada delle fabbriche non è mai stata dritta. La macchina che quasi si anima e dialoga con un'altra macchina. Le fasi manifatturiere che si collegano prendendo il profilo di un unico organismo tecno-industriale, coeso e strutturato.
I processi aziendali che assumono la concretezza del silicio, si rivestono di fibre ottiche e parlano con i meccanismi aziendali delle altre imprese. Gli operai ormai trasformati in tecnici con onniscienti tablet fra le mani. Gli impiegati e i dirigenti della fabbrica che debbono imparare a gestire i nuovi modelli organizzativi che gradualmente si assestano e si formano.
Con Industry 4.0, esito finale di una tendenza di lungo periodo che nell'industria europea ha vissuto negli anni Settanta la sostituzione del lavoro fisico con i macchinari e negli anni Ottanta la prima stagione dell'automazione industriale a crescente riduzione della componente umana, il sistema tedesco prova a cambiare ogni cosa. Con una propensione alla palingenesi e alla mutazione profonda autoindotta, che rappresenta una delle continuità di lungo periodo della storia di questo Paese, vengono adottati la logica programmatoria e il metodo sistemico. Spiega Stefan Schaible, deputy Ceo di Roland Berger Gmbh: «La digitalizzazione delle imprese è una priorità assoluta perché, se attuata, libera un enorme potenziale di valore aggiunto. Il futuro delle aziende che non riescono a volgere a proprio vantaggio la digitalizzazione è in pericolo. Si tratta di un fenomeno strutturale. Non dipende dalla congiuntura». Nella tipica tensione classificatoria della cultura tedesca, l'Industry 4.0, che in Germania fin dal livello governativo si è avvalso dell'expertise della Roland Berger, è stato declinato in nove diverse tecnologie: la cybersecurity, i big data, il cloud computing, la realtà aumentata, la robotica, la prototipazione in 3D, la radio frequency identification, la connessione degli impianti e l'additive manufacturing (la così detta stampa in 3D).
Peraltro, Industry 4.0 viene progettato e attuato in un sistema industriale che è l'unico in occidente ad avere migliorato le sue performance fra 2000 e 2014, con profitti (dati dal rapporto fra Ebit e valore aggiunto) in crescita – secondo i calcoli di Roland Berger - dal 10% al 20% e con una rotazione degli asset (data dal rapporto fra valore aggiunto e capitale investito) salito da 1,2 a 1,7. L'Italia ha perso sia nella profittabilità (dal 23% al 10%) che nella rotazione degli asset (da 0,9 a 0,6), la Francia ha perso nella prima (dal 15% al 5%) e ha guadagnato nella seconda (da 1 a 1,3), gli Stati Uniti ha guadagnato nella seconda (dal 20% al 30%) e ha perso nella seconda (da 1 a 0,7). E, questo, in un contesto in cui, dal 2000 a oggi, l'occupazione industriale è calata “solo” del 9% in Germania, a fronte del -12% dell'Italia, del -20% della Francia, del -27% della Gran Bretagna e del -27% degli Stati Uniti. La Germania è il cuore dei fenomeni europei riconducibili alla Industry 4.0. Gli Stati Uniti sono l'avamposto dell'internet of things.
«Gradualmente – osserva Gabriele Caragnano, responsabile in Italia delle operations di PWC e membro del gruppo internazionale di lavoro su Industry 4.0 – si stanno delineando due modelli diversi. In Germania al centro si trova la fabbrica: la sua efficienza, la sua produttività e il costante monitoraggio del suo buon funzionamento. Negli Stati Uniti, invece, l'attenzione è focalizzata sul prodotto, nella sua connessione interattiva con il cliente finale». La Germania è, dunque, lo stabilimento. Gli Stati Uniti sono il mercato. La Germania è il macchinario. Gli Stati Uniti l'informatica. In coerenza con la tendenza organicista della mentalità tedesca, un coordinamento centrale istituito presso il ministero dell'Industria e il ministero dell'Istruzione e della ricerca scientifica – formato da rappresentanti delle imprese, dei sindacati, dei centri di ricerca e dei partiti politici – sovraintende un comitato strategico e un comitato gestionale e gruppi di lavoro su temi specifici, mentre censisce le realizzazioni concrete delle imprese.
Nel modello del dirigismo tedesco, la leva del denaro pubblico è sempre stata usata senza pruderie: il budget iniziale di Industry 4.0 è di 200 milioni di euro. In realtà, questa cifra è un tassello del mosaico più articolato che si va componendo. Secondo Roland Berger, fra gli stanziamenti diretti dello Stato e gli incentivi dei Länder, l'autofinanziamento delle imprese e il mercato dei capitali (bond societari emessi per finanziare singoli progetti), prestiti bancari e risorse del Piano Juncker, la cifra complessiva – da qui al 2030 – sarà fra i 18 e i 20 miliardi di euro. Nella prima fase di Industry 4.0, sono stati i grandi gruppi come Bosch e Bmw a lavorare con impianti pilota. Bosch ha a Immenstadt, nella Baviera, una fabbrica dove, secondo questi principi, vengono prodotte 400 varianti di Abs. Bmw ha orientato alla Industry 4.0 la fabbrica di Monaco di Baviera. Ai grandi gruppi si sono aggiunte le medie imprese. In particolare, nel segmento dimensionale compreso fra i 200 milioni e i 600 milioni di euro di ricavi all'anno, ci sono 300 società impegnate a elaborare progetti strutturati che recepiscono buona parte dei nove assi di questa filosofia.
Da élite, Industry 4.0 si sta facendo fenomeno sistemico. Secondo una ricerca realizzata da Boston Consulting Group fra gli imprenditori tedeschi, i tre quarti degli intervistati ritengono che Industry 4.0 porterà a un aumento di produttività e a una riduzione dei costi. La metà degli intervistati prevede anche un aumento dei ricavi. Sempre questa ricerca, stima che il 47% delle aziende abbia adottato almeno un concept totalmente Industry 4.0: una impresa tedesca su due, al di là della questione dimensionale, ha sviluppato il primo seme di un progetto. Naturalmente, nessun pranzo è gratis: per Boston Consulting Group, per adottare Industry 4.0 è necessario un investimento annuo pari al 7% dei ricavi. La centralità della Germania nel paesaggio industriale europeo rende un fattore potenzialmente pervasivo Industry 4.0. Dice Stefan Schaible, deputy Ceo di Roland Berger Gmbh: «L'industria tedesca è così intimamente integrata con quelle degli altri Paesi che i suoi effetti hanno già superato i confini nazionali». Un esempio di questa osmosi è rappresentato dalla Ognibene Power di Reggio Emilia, una impresa specializzata in sistemi di guida per trattori, escavatori e carrelli elevatori che ha 800 addetti, un centinaio di milioni di euro di fatturato e stabilimenti in Brasile, India e Cina: «Noi – dice Claudio Ognibene - già usiamo modelli di comunicazione macchina-macchina e abbiamo una sessantina di processi robotizzati. Abbiamo appena ordinato una linea produttiva molto automatizzata da un fornitore tedesco. Dovrebbe essere installata a fine dicembre».
La rapidità evolutiva tedesca non è poca cosa. Basta osservare gli avanzamenti dell'automazione industriale, che della Industry 4.0 è una componente rilevante: «Negli anni Novanta - racconta Ognibene – i tedeschi erano indietro rispetto ai giapponesi». Dal 2002 – anno in cui in Germania si è iniziato a discutere della necessità di una nuova forma di politica industriale condivisa da tutti i protagonisti del sistema economico e sociale – il primo Paese manifatturiero dell'Europa ha elaborato e costruito un progetto che assume un valore identitario e che delinea l'orizzonte strategico per le imprese. «In questo momento – nota Schaible – le condizioni per gli investimenti sono molto favorevoli. Il denaro costa pochissimo. Posporre gli investimenti sarebbe un errore: Industry 4.0 deciderà il futuro delle imprese e del tessuto produttivo tedesco». Una struttura culturale e tecnoindustriale la cui solidità dovrà essere verificata al triplo banco di prova di una recessione lunga e duratura, degli effetti di Brexit e del pericolo di un attacco finale all'euro.
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