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Pmi, finanza alternativa in cerca di slancio

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Pmi, finanza alternativa in cerca di slancio

Marka
Marka

Le chiedono le dirette interessate, in particolare le piccole e medie imprese. Le invoca periodicamente la Banca d’Italia. E le promuove la Commissione Ue che ne fa uno dei capisaldi del progetto di «Unione dei mercati di capitali» per abbattere le frontiere degli investimenti in Europa. Il credit crunch ha allentato la morsa anche grazie agli interventi della Bce, ma il peso delle sofferenze ha indotto le banche a un atteggiamento più prudente nel concedere nuovi prestiti alle imprese. La soluzione, concordano gli addetti ai lavori, sta nel ricorso a forme di finanziamento alternative da affiancare a quelle tradizionalmente erogate dalle banche.

Sul tavolo ci sono quattro opzioni ancora in cerca di una consacrazione definitiva. Dall’ingresso di un operatore di private equity nel capitale all’approdo sul listino o all’emissione di mini-bond, fino all’ultima frontiera del direct lending. Destini spesso incrociati o complementari, con un unico filo rosso: la necessità di finanziare la crescita delle imprese in un sistema meno banco-centrico.

INDICI A CONFRONTO

Nel 2015 il private equity ha guadagnato terreno. Sono 342 le aziende che hanno accolto un fondo nel loro capitale, il 10% in più rispetto al 2014. In particolare l’ammontare investito ha registrato un balzo del 31% a quota 4,6 miliardi, grazie soprattutto agli operatori internazionali. Un’operazione su tre ha riguardato investimenti di capitale di rischio nelle prime fasi di vita, il cosiddetto «early stage», una su quattro ha finanziato la fase di sviluppo (expansion) per consentire all’azienda di fare un salto di qualità. Ad aprire l’azionariato sono state soprattutto le imprese del manifatturiero e dei servizi non finanziari, ma hanno raccolto la sfida anche le società di informatica e del biomedicale. La tendenza verrà confermata anche nel 2016? Anna Gervasoni, direttore generale dell’Aifi, l’associazione che riunisce gli operatori del settore, ne è convinta. Un primo indizio arriverà con i dati semestrali che verranno pubblicato a ottobre.

Spesso il passo successivo all’esperienza del private equity è l’approdo in Borsa. In altri casi le imprese arrivano a Piazza Affari senza questa tappa intermedia. Per le Pmi è attivo dal 2012 un mercato dedicato, l’Aim Italia, nato dall’accorpamento di due iniziative precedenti. Lo scorso anno su 32 matricole che hanno debuttato in Borsa ben 22 l’hanno scelto. Quest’anno, finora, il passo è stato più lento. Nei primi sette mesi hanno optato per la quotazione 13 società: in 4 hanno preferito il mercato principale, mentre sono 9 quelle che hanno scommesso sull’Aim. L’ultima settimana di luglio si è però rivelata particolarmente dinamica e ha segnato l’ingresso di ben 4 società. A subire il fascino della Borsa sono soprattutto le imprese dei settori dei beni di consumo e dei servizi finanziari. Per alcune Aim Italia è una sorta di ambientamento sul mercato per poi passare sul listino principale. C’è invece chi sceglie un percorso più graduale con il programma Elite avviato nel 2012, sempre da Borsa Italiana.

Sono 406 le imprese che hanno partecipato finora al sistema di coaching e di accompagnamento verso gli strumenti alternativi al canale bancario, con l’adeguamento della governance e dei bilanci al mercato dei capitali. Un salto di qualità, anche culturale, che apre tre scenari: il private equity, la Borsa o i mini-bond. Sono questi infatti il terzo strumento per reperire finanziamenti senza passare per lo sportello. Introdotti con il Decreto sviluppo nel 2012 prevedono anche per le Pmi la possibilità di emettere obbligazioni. La platea potenziale stimata era di 35mila aziende, ma per ora questi numeri sono ancora lontani. Dal 2014 ad oggi le emissioni sul segmento Extra Mot Pro di Borsa Italiana sono state 133 e tra queste 26 nei primi sette mesi di quest’anno. A scegliere questa strada sono state soprattutto le aziende nel settore dei beni di consumo e dei servizi pubblici con un fatturato medio di circa 90 milioni e un ammontare medio di circa 10 milioni.

L’ultima frontiera è stata abbattuta lo scorso febbraio con il decreto legge 18/2016 che ha aperto la strada alla possibilità per i Fondi alternativi di investimento (Fia) di concedere prestiti diretti alle imprese (direct lending). Epic, la prima piattaforma digitale indipendente dal sistema bancario, ha deciso di cogliere questa opportunità per la concessione di prestiti alle Pmi associate ad Assolombarda. Secondo le stime dell’Associazione industriale milanese su dati Aida sarebbero 2.200 le imprese che rientrano potenzialmente nel perimetro del direct lending. «La prima operazione - spiega Marco Belmondo, direttore marketing di Epic - dovrebbe essere siglata entro fine anno e sarà rivolta a un gruppo omogeneo di imprese selezionate in base alle preferenze del fondo investitore». Secondo Belmondo la nuova formula è particolarmente indicata per aziende più piccole con un fabbisogno finanziario tra 250mila e 2,5 milioni di euro.

«Gli strumenti alternativi ci sono e a frenare non è più un problema culturale - conclude Gervasoni - perché le imprese sono pronte a imboccare la strada della crescita. Per arrivare a una maggiore affermazione di queste nuove opportunità occorre ampliare la platea di investitori specializzati, aprendo le porte a quelli che operano nell’economia reale come i fondi pensione, le casse di previdenza e le assicurazioni. Un maggiore ricorso agli strumenti alternativi renderà inoltre le imprese più sane e questo porterà benefici anche ai loro rapporti con le banche».

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