Ha appena compiuto 25 anni ed è considerato il dazio più vecchio. E sempre rinnovato, perchè ha funzionato e perchè riguarda davvero una prduzione diffusa a macchia d'olio in gran parte d’Europa. Quella sulle biciclette complete è la misura antidumping che meglio rappresenta, forse, la capacità europea di difendere la propria manifattura. In tempo e bene.
La questione è nata nel 1991, quando in Europa sono cominciate ad arrivare biciclette “Made in China” a prezzi inferiori del 70% rispetto a quelli di mercato. Un problema che non colpiva solo la produzione italiana, localizzata tra Piemonte, Lombardia e Veneto. Ma tutta Europa.
«È stato relativamente facile andare a Bruxelles – spiega Piero Nigrelli, direttore settore Ciclo di Confindustria Ancma - con due selle e dimostrare che il prezzo di quella cinese non copriva neanche i costi del materiale usato». L’indagine durò pochissimo, per gli standard attuali, appena 6 mesi e da allora alla dogana il prezzo viene riequilibrato con un dazio del 48,5% - spiega Nigrelli -.
Attenzione, nessuno chiede protezione, non è di questo che abbiamo bisogno. Abbiamo tecnologia, investimenti, ricerca e sviluppo: basta che le regole del gioco non siano falsate in partenza». E siccome sulla merce gravano anche un dazio commerciale “standard” pari al 4,7% e un’aliquota Iva del 22%, alla fine importare biciclette costa ai produttori cinesi oltre il 75% in più rispetto al loro “listino prezzi”.
«In questo modo – spiega ancora Negrelli – la produzione europea è rimasta stabile. In Europa, su 20 milioni di biciclette vendute ogni anno, 13 milioni sono prodotte nella Ue. L’Italia, l’anno scorso ne ha prodotte 2,3 milioni – un dato sostanzialmente stabile negli ultimi 10 anni anche se lontano dal record dei 5,8 milioni di pezzi raggiunto nel 1994 – e 1,4 milioni le esporta». Nel 96% dei caso nella Ue stessa e per il restante 4% nel resto del mondo. L’Italia conta circa 250 produttori e il settore dà lavoro a 12mila addetti fra diretti e indiretti».
E i dazi, per Negrelli, hanno avuto anche una funzione, si può dire, “positiva”. «In 20 anni – ha aggiunto – l’undustria europea si è fortemente modernizzata. Prima saldavamo i tubi, montavamo i tela e i raggi. L’integrazione delle lavorazioni era totalmente verticale. Oggi, come per l’automotive, è totalmente orizzontale. La concorrenza esterna ha spronato all’innovazione. La tutela del dazio ci ha consentito di realizzarlo».
Diverso il destino, ad esempio, delle produzioni in Usa e Giappone, che nei primi anni ’90 sottovalutarono la “potenza di fuoco” dell’export cinese. Nel 1992 gli Usa producevano 11 milioni di biciclette, nel 1996 – in appena 5 anni – erano scesi a 350mila. Analoga debacle in Giappone.
E comunque anche in Europa non tutti i produttori hanno saputo “fare squadra”. Ad esempio, la componentistica. Oggi i telai per le biciclette sono acquistati, per il 90%, in Cina. Diverso invece il destino delle selle per biciclette, su cui nel 2007 la Commissione europea (previo dossier dell’associazione europea dei produttori di componenstistica per bici) aveva fatto scattare un dazio antidumping di circa il 30% (ridotto al 5,8% solo per le 4 società cinesi che avevano collaborato e ammesso le proprie responsabilità). Al termine dei 5 anni il dazio è decaduto e non è stata più richiesta la proroga. Nel frattempo, la principale azienda europea di selle aveva acquisito il più agguerrito concorrente cinese.
© Riproduzione riservata