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Dossier Viti e bulloni nella morsa asiatica

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    Dossier | N. 6 articoliLe politiche dei dazi

    Viti e bulloni nella morsa asiatica

    Vizi di forma. E il dazio è sparito. Viti e bulloni – la cosiddetta minuteria metallica – rischiano di essere travolta dalla concorrenza cinese. A novembre, infatti, l’Organizzazione Mondiale per il Commercio ha riconosciuto come «discriminatorie» le misure antidumping che erano state varate nel 2009 dalla Commissione Ue su iniziativa di un cartello di paesi proponenti – di cui l’Italia era capofila. Obiettivo, ovviamente, tutelarsi dalla concorrenza sleale di Pechino, che però aveva fatto appello al Wto per far cadere un impianto accusatorio viziato da alcuni errori,a loro dire, sulle modalità di svolgimento delle indagine da parte di Bruxelles.

    Non a caso il ministro per il Commercio estero cinese, Gao Hucheng, aveva festeggiato dicendo «è stata una misura illegale verso le aziende cinesi esportatrici di viti e bulloni che in sette anni hanno visto il loro mercato contrarsi da un miliardo di dollari di esportazioni ad 80 milioni nel 2014». La minuteria è infatti un business ghiotto anche per la Cina, che occupa circa 200mila addetti ed ha un export stimato di circa 5,5 miliardi di dollari.

    L’IMPORT NELLA UE DI MINUTERIA METALLICA
    Quote di mercato sulle importazioni europee di viti e bulloni. In %. (Fonte: elaborazione Siderweb su dati Eurostat)

    Il primo dazio antidumping cinese era stato deciso nel 2009, si attestava attorno all’84% e riguardava il solo export dalla Cina. Dazio che era stato rinnovato ad inizio 2015, abbassato attorno al 70% circa e riguardava non solo la Cina ma anche la Malesia. Questo è stato cassato dal Wto. Poco dopo, con regolamento del marzo 2016, Bruxelles ha dovuto rendere esecutivo il verdetto e ha decretato decaduti i dazi rinnovati. Basti dire che l’import dalla Cina è passato dalle 120mila tonnellate del 2003 alle 620mila del 2007. Una quota di mercato passa in meno di 5 anni dal 15 al 35 per cento. Dall’introduzione dei dazi (1° gennaio 2009), poi, il crollo delle importazioni “Made in China” dalle oltre 620mila tonnellate ad appena 20-25mila in un solo anno. In tutto ciò, per ragioni legate soprattutto alla crisi della manifattura in Europa, in questi anni la domanda europea di minuteria metallica, si è contratta del 20 per cento.

    Ma il problema è anche un altro. Negli anni, i cinesi hanno delocalizzato le produzioni destinate all’export. Malesia, innanzitutto, ma anche Filippine, Indonesia e Vietnam. Ma anche aggirato i dazi attraverso triangolazioni delle vendite. Spesso, cambiando i documenti di origine è difficile fare risalire la produzione alle aziende cinesi già sanzionate.

    Viti e bulloni – in apparenza “banali” – sviluppano un business mondiale di 72 miliardi di dollari, raddoppiato in dieci anni fa. Oltre un quarto del mercato è legato all’auto e l’Italia ha un ruolo di loeadership, con una produzione nazionale (in gran parte concentrata in Brianza) che supera i due miliardi di euro, in prevalenza legati proprio al comparto automotive.

    Intanto, i produttori europei si preparano a ripresentare alla Commissione Ue la richiesta di dazi antidumping nei confronti dei prodotti di Cina e Malesia. Sicuri che questa volta il dossier sarà inappuntabile. Ma con il rischio che, nel frattempo, i produttori cinesi sfruttino la mancanza di “difese immunitarie” della Ue e che la stessa Commissione Ue, che dichiari di volere rivedere i criteri di calcolo, ne rallenti l’iter di approvazione.

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