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Investire in Africa, pronto il piano italiano

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Investire in Africa, pronto il piano italiano

Lagos, Nigeria. Foto Reuters
Lagos, Nigeria. Foto Reuters

Un Africa Act per trasformare l’Italia in un hub per gli investimenti verso il continente africano grazie a un mix di finanziamenti, agevolazioni fiscali e sostegni alla formazione. L’iniziativa, presentata un po’ in sordina a luglio dal gruppo parlamentare del Pd alla Camera, sembra aver subìto un’accelerazione dopo che il premier Renzi ne ha parlato esplicitamente al Forum di Cernobbio. Tanto che ora, nella forma della legge delega, l’Africa Act «dovrebbe entrare nella legge di Bilancio», come conferma il viceministro agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale Mario Giro.

Per il nostro Paese si tratta di un assoluto cambio di passo: mai prima d’ora, nemmeno per la Cina, la strategia d’approccio verso un Paese emergente - in questo caso, addirittura un intero continente - era stata affrontata in maniera così sistematica e organica, all’interno di una cornice legislativa ad hoc. Non solo ora l’Italia lo fa, ma comincia scegliendo una delle aree più arretrate, ancorché più promettenti, del pianeta.

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Crescita del Pil prevista per il 2016 in % (Fonte: African Economic Outlook)

Formalmente, oggi, l’Africa Act è una proposta del gruppo parlamentare del Pd alla Camera, ma dopo la riunione tecnica che si svolgerà al ministero dello Sviluppo economico il 29 settembre il documento sarà pronto per fare il grande passo e giocarsi un posto nella Finanziaria. Lo stanziamento economico è ancora in via di definizione: nella proposta del Pd si parla di un trust fund gestito da Cassa depositi e prestiti con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro forniti dal ministero degli Affari esteri a garanzia delle operazioni. «L’idea - spiega il viceministro Giro - è di generare attraverso questo fondo un effetto moltiplicatore che alla fine, grazie al contributo di altri capitali sia pubblici che privati, metta in campo non decine di milioni, ma decine di miliardi. Credo che con questa iniziativa gli investimenti italiani in Africa potranno più che triplicare».

Sono giorni, questi, di Africa sotto i riflettori. C’è il Piano per gli investimenti approvato martedì scorso dalla Commissione europea, per il quale Bruxelles ha già promesso 3,35 miliardi in cinque anni con l’obiettivo che diventino 44 grazie ancora una volta all’effetto leva generato dai capitali pubblici e privati. E prima ancora, c’è il Migration compact proposto dal governo italiano a Bruxelles, di cui il piano approvato la scorsa settimana è una sorta di derivazione. «Se vogliamo che gli Stati africani ci aiutino a controllare i loro confini, dobbiamo offrire loro investimenti per lo sviluppo, non solo aiuti allo sviluppo», spiega il viceministro Giro.

Rispetto al Migration compact, l’idea dell’Africa Act è addirittura precedente. Racconta Lia Quartapelle, capogruppo Pd alla commissione Esteri della Camera e “madrina” del progetto, insieme al viceministro Giro e al consigliere economico di Palazzo Chigi, Marco Simoni: «L’idea nasce a luglio dell’anno scorso, durante il viaggio del premier Renzi ad Addis Abeba. Da due anni a questa parte non ci sono mai state così tante visite istituzionali italiane in Africa: da Renzi, che c’è stato tre volte, al presidente Mattarella, passando per molti ministri. Ci siamo accorti che l’interesse c’era: quella che mancava era una cornice comune a tutti questi interventi».

«L’Africa Act - aggiunge il viceministro Giro - prende anche spunto dal nuovo modello di cooperazione allo sviluppo messo a punto dalla legge 125», che infatti affida sempre alla Cassa depositi e prestiti il compito di gestire il fondo che finanzia le operazioni.

Così come è scritto oggi, l’Africa Act prevede tre linee di azione (si veda anche l’articolo sotto): una fiscalità di vantaggio per chi - italiano o no - investe nei Paesi del continente africano, con un occhio di riguardo per i settori dei trasporti, delle infrastrutture, dell’agricoltura e dell’energia, soprattutto quella sostenibile; crediti agevolati per gli investitori privati; e un pacchetto di iniziative a supporto della formazione, degli scambi universitari e dei tirocini.

A quali Paesi si guarda? «Soprattutto all’Africa Nord-occidentale - spiega il viceministro agli Esteri -, la Tunisia e il Marocco in primo luogo, aspettando di poter guardare allo stesso modo a una Libia più pacificata. E poi ai Paesi del Corno d’Africa». E se veramente l’Africa Act riuscirà ad entrare nella legge di Bilancio, conclude Lia Quartapelle, «possiamo aspettarci di andare a regime con tutte queste iniziative già nel 2018».

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