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Ricetta familiare per il made in Italy

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Ricetta familiare per il made in Italy

Manifatturiero e commercio. Sono questi i comparti in cui le imprese familiari sono più attive. Una presenza particolarmente forte nei settori chiave del made in Italy come la metallurgia e la meccanica, l’agroalimentare, la moda e nel legno-arredo. In ambito territoriale le regioni dove c’è la maggiore concentrazione di aziende familiari con un giro d’affari superiore ai 20 milioni sono il Veneto, Marche, Umbria e il Mezzogiorno. Inoltre i due terzi di quelle di dimenzioni medio-grandi sono al Nord e un altro 16% è nel Centro Italia.

Sparse lungo lo Stivale sono poco più di 10mila, hanno registrato un fatturato di 790 miliardi e un valore aggiunto di 177 miliardi. Complessivamente danno lavoro a 1,5 milioni di addetti, quasi settimo del totale dei dipendenti nell’industria e nei servizi, a cui si aggiungono altre 800mila persone all’estero.

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Settori in cui sono più attive le imprese familiari con fatturato superior ai 20 milioni (Fonte: VII Rapporto Osservatorio Aub)

«Lo stato di salute delle imprese familiari italiane è più che discreto - premette Guido Corbetta, titolare della cattedra ”AIdAF-Ey di Strategia delle aziende familiari, in memoria di Alberto Falck” dell’Università Bocconi -. Non solo sono impegnate per crescere sui mercati sempre più competitivi ma lavorano su strumenti e strategie per la continuità generazionale con l’obiettivo della proprietà coesa». Una qualità che le faccia diventare il più possibile longeve ovvero superare i 50 anni di attività. Una sfida al futuro che sarà al centro dei lavori del prossimo convegno della AIdAF, l’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, che si terrà dal 29 settembre a Taormina. Il filo conduttore sarà «Le imprese familiari del futuro tra integrazione sociale, innovazione digitale e coesione della famiglia». «Molte aziende, in un continuo processo di rinnovamento, hanno avuto la forza e la capacità nel corso degli ultimi anni di crisi di reinventarsi - spiega Elena Zambon, presidente dell’associazione -. Si ripensa il proprio modello di business e il modo di stare e di competere sui mercati internazionali, in taluni casi, di rifondare loro stesse».

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Settori in cui sono più attive le imprese familiari con fatturato superior ai 20 milioni (Fonte: VII Rapporto Osservatorio Aub)

Sono molti i cambiamenti e i progressi fatti da questi pilastri dell’imprenditorialità nazionale a partire da una maggiore e più strutturata apertura verso le innovazioni, il mondo della ricerca e le università, il fenomeno delle start up e delle operazioni di M&A. «Fanno innovazione, riescono a sviluppare la loro attività in un clima difficile, puntano su competenze qualificate, ma hanno bisogno di nuove fonti finanziarie - conferma Corbetta -. Le aziende chiedono inoltre un rapporto più semplice e chiaro con la Pa».

Negli ultimi anni di crisi le aziende con un management familiare sono riuscite anche fare un piccolo miracolo: creare più occupazione rispetto alle altre. La conferma arriva dall’ultima edizione dell’Osservatorio Aub promosso da AIdAF , Bocconi, Unicredit e dalla Camera di Commercio di Milano che evidenzia come nel quinquennio 2010-2014 le imprese familiari hanno aumentato il numero di dipendenti del 5,3% medio l’anno, contro l’1,2% delle non familiari.

Tra i nodi da risolvere delle family business italiane c’è quello delle dimensioni. «Solo le più grandi riescono a fare innovazione e ad attrarre uno staff qualificato - aggiunge il docente - mentre si allarga la forbice con le medio-piccole che arrancano». Infatti il fatturato delle imprese medio-grandi (oltre i 50 milioni) anno dopo anno ha un trend di crescita superiore. C’è poi un punto in cui le family company riescono sempre ad ottenere il massimo. È nella reddittività perché le aziende familiari dall’inizio della crisi sono sempre riuscite a mantenere un vantaggio che ora è di circa un punto percentuale. Per le medio-grandi il Roi è del 7,8% mentre per le piccole si arriva all’8,6 per cento

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