Economia

Deflazione a doppia velocità

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CONSUMI

Deflazione a doppia velocità

(Fotogramma)
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Democratica nel breve periodo, discriminante nel medio. E, tanto per cambiare, sempre a svantaggio delle platee più deboli. Anche l’inflazione, anzi la deflazione o la quasi assenza di inflazione, di questi ultima fase congiunturale, ha esercitato una pressione diversa sulle tipologie di famiglie economicamente più distanti: è vero che, in linea generale, ha dato una mano al potere di acquisto della collettività nel suo complesso e quindi alla (debole se non stagnante) domanda interna, ma per le classi più agiate questa mano si è rivelata un po’ più generosa. La causa principale: i diversi stili di vita e, quindi, dei comportamenti di spesa. La conseguenza: un possibile aggravarsi del divario sociale ed economico già esistente.

A rivelarci, con i numeri, questo effetto non “sincronizzato” del trend inflazionistico è uno studio di Ref Ricerche che per il periodo 2015-16 e 2011-16 ha preso in considerazione due profili di famiglie che, per capacità di spesa, si collocano agli antipodi.

I CONSUMI CAMBIANO IN FUNZIONE DELLA CAPACITÀ DI SPESA
Distribuzione consumi, quota %. * Il 10% delle famiglie che spendono di meno per i consumi. ** Il 10% delle famiglie che spendono di più per i consumi. (Fonte: REF Ricerche su dati Istat)

«Si tratta – spiega Fulvio Bersanetti, economista di Ref Ricerche – del profilo “basso spendente”, costruito estraendo il 10% dei nuclei che, secondo l’annuale indagine dell’Istat sui consumi delle famiglie, manifestano la più bassa propensione alla spesa, e del profilo “alto spendente”, ossia il 10% delle famiglie all’estremità opposta per propensione alla spesa».

Tradotto in euro – e sempre in base alle elaborazioni statistiche – questo significa che nel bilancio domestico il totale delle uscite del primo profilo si limita a meno di 600 euro al mese, mentre quello dell’altro profilo supera i 4.600 (a fronte di una spesa media delle famiglie di circa 2.500 euro).

«Dietro questi due profili – continua Bersanetti – si collocano condizioni economiche, reddituali, occupazionali e quindi orientamenti di spesa diametralmente opposti. Le differenze sono marcate: le famiglie “basso spendenti” destinano la quota prevalente dei propri consumi al soddisfacimento dei bisogni di base, mentre quelle “alto spendenti” possono dedicarsi a voci più “voluttuarie”».

Il grafico pubblicato a fianco mette in evidenza questa difformità nelle decisioni di acquisto: nel primo profilo alimentazione e abitazione/utenze coprono quasi i due terzi della spesa; al contrario, per il secondo, quello più abbiente, la quota maggiore è assorbita dai trasporti e dal tempo libero (poco meno di un terzo), seguiti (ovviamente dopo dispensa e casa/bollette) dall’abbigliamento, il settore che invece pesa meno nel carrello dei basso spendenti (solo il 3,1 per cento).

A partire da questa diversa composizione della spesa, Ref Ricerche ha calcolato due misure di inflazione, una nel breve (2015/2016) e l’altra nel lungo periodo (2011/2016) per verificare in quale misura hanno inciso gli effetti dei passati incrementi dei prezzi (e della recente deflazione) sulle famiglie in funzione della loro capacità di spesa.

«Per un effetto composizione, nella fase più recente la flessione dei prezzi determinata dall’arretramento dei prezzi del greggio e quindi del costo dei carburanti ha sostanzialmente sortito gli stessi effetti su tutte le famiglie, indipendentemente dalla loro capacità di spesa. La deflazione è stata, in questo senso, “democratica” – continua Bersanetti – Invece, sempre per lo stesso effetto composizione, nell’elaborazione che considera un arco temporale più ampio (il quinquennio 2011-2015) , il profilo dei basso spendenti ha dovuto sopportare un’inflazione più alta di oltre mezzo punto percentuale, del 5% anziché del 4,4 per cento. La divaricazione tra i due profili si manifesta in particolare nel periodo 2012-13, quando i rincari delle materie prime e del petrolio si sono scaricati sui prezzi degli alimentari e sulle bollette della casa, voci che maggiormente incidono sul totale della spesa del “basso spendente”».

Di qui il paradosso sottolineato dalla ricerca: chi spende di più (e quindi presumibilmente chi vive in una condizione più agiata) ha potuto beneficiare di un incremento dei prezzi più “morbido”, cioè ha ricevuto un vantaggio in termini di sostegno al potere d’acquisto. Con un’ulteriore conseguenza: oltre mezzo punto di inflazione in più può valere altrettanto di consumi di base in meno.

Insomma, dallo studio di Ref Ricerche emerge un consolidamento dei divari sociali proprio nel momento in cui si insiste sulla necessità di sostenere la domanda interna per uscire dalla fase di stagnazione e si studiano misure di contrasto alla povertà più efficaci di quelle in precedenza adottate. «Considerate le peculiarità della mini-ripresa del ciclo, il Governo ha ribadito a più riprese l'intenzione di non dare seguito alla clausola di salvaguardia: il rialzo dell'Iva, andando a colpire anche l'aliquota del 10% gravante su molti generi alimentari, finirebbe per acuire ulteriormente i divari».

E per il futuro? Ref ricerche prevede un’inflazione allo 0% per il 2016 e, dopo un triennio di prezzi piatti, «un recupero all’1% per il 2017, sostenuto da un probabile rimbalzo dell’energia e da un consolidamento dell'inflazione dei servizi privati, spinti dai maggiori costi di trasporto». Resta da vedere quanto – senza più l’ “aiutino” del costo della vita fermo e senza misure correttive – si accentuerà ulteriormente la forbice tra i profili di famiglie più “distanti”.

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