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Dossier Difendere i territori riavvia la crescita

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Sviluppo sostenibile

    Difendere i territori riavvia la crescita

    Difendere il territorio italiano dalle mille aggressioni che ha subito negli anni – dalla mala-edilizia all'incuria, dallo spopolamento di aree rurali all'abbandono di capannoni industriali inutilizzati, dall'inquinamento di falde e suolo allo spreco di risorse naturali preziose come l'acqua, solo per fare alcuni esempi – è una priorità che il terremoto in Centro Italia del 24 agosto ha portato alla ribalta.

    La riqualificazione e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio edilizio italiano (il più antico ma anche obsoleto d'Europa) è un'esigenza sempre più pressante. In cima all’agenda del Governo, come testimoniato dal prossimo varo del progetto Casa Italia (la nuova struttura di missione di Palazzo Chigi guidata dal rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone).

    Già prima dell’ultimo terremoto, l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) stava scrivendo un piano per il refitting del patrimonio edilizio italiano. «Abbiamo proposto un eco-piano per la riqualificazione sostenibile attraverso la ristrutturazione “profonda” dell'edilizia meno efficiente dal punto di vista energetico, partendo dai condomini anni '50-'70 che hanno un potenziale di riduzione dei consumi energetici del 40-60%, con benefici economici e sociali enormi - spiega Federico Testa, economista, docente universitario e dal marzo scorso presidente dell’Enea -. Gli attuali meccanismi incentivazione non bastano e occorre prevederne altri, tenendo conto anche della messa in sicurezza sismica. Ciò consentirebbe di centrare il duplice obiettivo di più sicurezza sismica e più sostenibilità energetica, ottimizzando le risorse investite».

    Una proposta più attuale che mai, visto l’attivismo sul tema del Governo Renzi, come diretta conseguenza dell’ultimo sisma. «L’Enea porterà al tavolo di Casa Italia proposte concrete per la riqualificazione del patrimonio edilizio nazionale, che ricomprendano anche la parte relativa ai beni culturali e agli aspetti della gestione del territorio strettamente legati alla sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro», spiega Testa.

    «Le politiche nel settore dell'edilizia messe in atto finora, dal Piano casa agli interventi per la riqualificazione energetica e la promozione nell'uso delle fonti energetiche rinnovabili, hanno consentito di affrontare adeguatamente gli aspetti del risparmio energetico e dell'efficienza, ma non quello della sicurezza - sottolinea il presidente dell’Enea -. Il terremoto in Centro Italia ha reso evidente che un evento sismico può vanificare tutti gli sforzi di efficientamento del patrimonio edilizio pubblico e privato. D'ora in poi, sicurezza ed efficienza energetica devono viaggiare in parallelo, innanzitutto creando una cultura nei cittadini per incentivarli a investire sulla sicurezza delle proprie abitazioni. L’esperienza positiva nella riqualificazione energetica degli edifici può essere trasferita alla sicurezza: mi riferisco, in particolare, a incentivi e defiscalizzazioni».

    Così ripartirebbe anche l’edilizia, che assieme all’industria è la leva maggiore di sviluppo economico di un Paese. Però - avverte Testa - è indispensabile pianificare politiche di sviluppo sostenibile del territorio, «da realizzarsi con un approccio sistemico che coinvolga tutte le tematiche territoriali, dalla sostenibilità ambientale ed energetica alla crescita economica e alla creazione di occupazione, per i giovani in particolare, favorendo l’inclusione sociale e un modello più efficace di governance del territorio».

    Ma la difesa del territorio in chiave puramente conservativa non basta. La miglior difesa di un bene è il suo uso responsabile e sostenibile, che lo tiene vivo e genera sviluppo, in un circolo virtuoso. Ecco perché la cura del territorio e delle sue comunità (cittadini, imprese, enti, terzo settore) passa attraverso uno sviluppo rispettoso della storia e della cultura dei luoghi, di basso impatto ambientale e attraverso politiche di protezione e incoraggiamento delle imprese sociali e delle fasce deboli (giovani e fasce sociali impoverite in primis) su quel suolo.

    «È ormai urgente definire una nuova politica per la gestione dei beni comuni, ovvero gli asset che hanno a che fare con i diritti fondamentali dell’uomo, come l’acqua, l’aria, i parchi, il patrimonio culturale, il welfare, l’istruzione - sostiene Andrea Rapaccini, presidente di Mbs Consulting (società di consulenza focalizzata sulla business sustainability) -. Tra una gestione pubblica a corto di risorse economiche e spesso inefficiente e una gestione privatistica che punta alla massimizzazione del ritorno economico per gli investitori, occorre promuovere nuovi modelli di gestione di questi beni, che siano in grado di mantenere la missione sociale e mutualistica (coerente con la natura stessa del bene) ma al contempo che sappiano stare economicamente in equilibrio sul mercato».

    Servono nuovi modelli per avviare il business sociale: sì, ma quali? «Prendiamo ad esempio il ciclo idrico - spiega Rapaccini, che alla nuova gestione dei beni comuni ha dedicato uno dei quattro incontri e libri del progetto Food for new thought -. Il nostro Paese dovrebbe investire circa 65 miliardi entro il 2035, di cui i primi 25 entro il 2019, per ammodernare le infrastrutture di rete e gli impianti di depurazione e mettere in sicurezza il sistema nazionale. Dove troveranno i capitali gli enti pubblici di gestione, visto che le amministrazioni comunali non hanno autonomia finanziaria per gli investimenti?».

    Già, dove trovare le risorse? «Potrebbero essere premiati modelli di partnership pubblico–privato, all’interno di venture non speculative (low profit) o di imprese sociali che coinvolgano i cittadini-utenti (come ad esempio viene fatto da anni in Galles) - spiega il consulente -. Un investitore privato (istituzionale o retail) dovrebbe accontentarsi di un rendimento moderato per un servizio fondamentale erogato in regime di monopolio e, quindi, a basso rischio. Le alternative a questo modello di economia sociale- di mercato sarebbero da un lato la privatizzazione del bene comune “acqua” (con buona pace di due referendum popolari) o, dall'altro, l'incremento delle imposte comunali per finanziare investimenti pubblici».

    Un altro strumento di difesa attiva del territorio, in chiave di sviluppo sostenibile, può essere individuato nel turismo culturale, la cui centralità è emersa ieri con la firma del protocollo d'intesa sul tema tra il ministero dei beni culturali e del turismo e la Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro. La promozione di investimenti privati per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali sarà al centro anche di un convegno della Federazione, a Firenze, il primo ottobre.

    «Anche in questo campo, gli spazi di miglioramento sono enormi: l’indice di ritorno economico sugli asset culturali (Rac) italiani è 16 volte inferiore a quello degli Stati Uniti , 7 volte inferiore a quello inglese e 4 volte a quello francese», ricorda Rapaccini.

    «La difesa attiva del cultural heritage e del turismo di qualità è una priorità che oggi va declinata in una prospettiva di sostenibilità - riprende Testa -. Con il ministro dei beni culturali e del turismo, Dario Franceschini, Enea ha firmato un accordo per ridurre le spese per l'energia dei musei e per il turismo sostenibile».

    Un tema, questo, da inserire fra le priorità del Paese, come ha evidenziato ieri Gianfranco Battisti, presidente di Federturismo Confindustria, nell’ambito della celebrazione della Giornata mondiale del turismo dedicata alla promozione dell’accessibilità universale. E gli imprenditori come inquadrano il tema? Sono disposti a investire, purché fortemente motivati. «Siamo custodi del paesaggio e non proprietari, per questo ho orientato ogni lavoro di ristrutturazione, sia in agricoltura, sia in campo architettonico, al rispetto del luogo e dalla cura dell’eredità culturale ereditata, in un’ottica di tutela assoluta». A parlare è Elisabetta Gnudi Angelini, signora del Brunello di Montalcino e di Borgo Scopeto Relais, scenario di film, spot pubblicitari, convention aziendali internazionali e vacanze di clienti prevalentemente esteri. «Ho acquistato Borgo Scopeto nel 1997 e il restauro iniziale è durato otto anni - racconta -.

    Dopo trent’anni di abbandono, questo borgo rurale versava in una situazione a dir poco disastrosa: un pezzo di storia e di cultura che rischiava di perdersi per sempre. Per il territorio intorno a Siena, era un luogo che nei secoli ha sempre avuto grande importanza: vi sorgono una torre dell'anno Mille, una splendida villa del Quattrocento e tutta una serie di edifici del Seicento (le case dei contadini) che il recupero conservativo ha convertito in suite del relais, Spa, ristorante. Ho deciso di riportare questo luogo a nuova vita, soprattutto per tutelare il territorio dall’incuria e dalla speculazione edilizia. Io credo fortemente nella salvaguardia delle nostre radici. Ho messo quindi in campo un investimento di 20 milioni (fra ristrutturazione del borgo, impianti, una centrale a biomasse e cantina), tutto in un'ottica di sostenibilità».

    La sostenibilità, del resto, conviene: non è più un’esternalità che genera costi in cambio di dubbi ritorni d’immagine. Lo hanno capito anche i tour operator. Così, non stupisce che alla presentazione dell’offerta 2017 un big come Settemari abbia presentato un tour «slow travel concept» in Thailandia all’insegna della sostenibilità: clienti ospitati nei villaggi sostenuti dall’operatore, che fanno la spesa e cucinano con le famiglie locali , spostandosi nelle campagne sui loro mezzi e visitando le loro scuole-orfanotrofio (per preparare un pasto ai bambini e lasciar loro la dispensa piena).

    «Questa proposta, inserita nel catalogo AmoilMondo, risponde a esigenze sempre più etiche e sostenibili dei clienti evoluti, ma rappresentano per noi anche un obbligo morale, un piccolo contributo per condividere i vantaggi con le comunità di cui siamo ospiti - afferma il presidente di Settemari, Mario Roci -. Un conto è vedere la popolazione locale in un’ottica da circo. Un altro è vederla come fratelli, con cui condividere un’esperienza di scambio. Finché questi temi li affrontavano operatori di nicchia, il mercato del turismo di massa sostenibile non era decollato: noi abbiamo inserito questa proposta nel catalogo generale e questo fa la differenza, perché non ghettizza l’offerta».

    Due storie, queste di Borgo Scopeto e Settemari, fra le tante che gli imprenditori italiani possono vantare. A questa Italia, che si rimbocca le maniche per difendere il suo territorio e le comunità d’elezione (in Italia e all’estero), è dedicato questo Rapporto Sviluppo sostenibile odierno del Sole 24 Ore. Dal racconto di storie realizzate di turismo sostenibile, diffusione della banda larga per collegamenti Internet veloci anche dove economicamente non conviene, potenziamento delle dotazioni tecnologiche nelle scuole, azioni di responsabilità sociale delle imprese, viene fuori un quadro di azioni e idee replicabili, con capitali coraggiosi e alleanze pubblico-privato.

    Altre storie altrettanto belle saranno scritte dai tanti enti, privati e imprese che operano per costruire sviluppo sostenibile difendendo i territori a loro cari. E altre iniziative nasceranno anche dall'avanzata della finanza sostenibile (Sri, Socially responsible investing), dal nuovo vigore di welfare aziendale, sponsorizzazioni culturali da parte di aziende, benefit corporation e terzo settore (sostenuti da nuove recenti normative), nonché dal diffondersi di modelli di rendicontazione avanzati come il Global compact delle Nazioni Unite (adottato adesso non solo da colossi ma anche da Pmi) e dalla prossima entrata in vigore della direttiva 2014/95/UE sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario.

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