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Dossier I report spingono il business

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Sviluppo sostenibile

    I report spingono il business

    Fabio De Felice di Protom
    Fabio De Felice di Protom

    Anche nelle imprese italiane sta diventando sempre più centrale la reportistica di sostenibilità, nelle sue mille sfumature: bilancio di sostenibilità (nei vari standard), reporting integrato, report improntati alle regole Global compact Onu, ai principi del valore condiviso (lo shared value creato dai guru Michael Porter e Mark Kramer) o agli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite (Sdg) lanciati l’anno scorso. Ora, poi, è in arrivo il recepimento italiano della nuova direttiva 2014/95/UE sulle non financial information, che contribuirà ad arricchire lo scenario. Normativa che si applicherà in Italia dal 2017 soltanto per le aziende grandi, di interesse pubblico e con oltre 500 dipendenti. E solo per queste: è stata fin qui esclusa (nell’ultima bozza di decreto attuativo in discussione fra le parti sociali) l’estensione obbligatoria ai loro fornitori (anche di piccole e medie dimensioni, le cosiddette Pmi) come ventilato inizialmente dal Mef, il ministero dell’economia e delle finanze, che sta gestendo le consultazioni pubbliche con encomiabile trasparenza.

    Comunque, ogni impresa, anche Pmi, può scegliere liberamente se e come impegnarsi sui temi della corruzione, delle pari opportunità, dell’ambiente, dei diritti umani - temi toccati dalla direttiva -, se e come rendicontare le azioni intraprese, con quale tipo di documento e standard, se far fare una certificazione esterna. Non ci sono limiti all’ambizione etica o green o sociale di un’impresa, a meno che dei limiti non li ponga in essere una normativa (come la direttiva richiamata) o il Codice di autodisciplina di Borsa italiana (per le quotate che vi hanno aderito) o le regole di governance scelte o quelle imposte da un fornitore all’avanguardia mondiale lungo tutta la sua catena di fornitura. Ma questi strumenti possono essere leve di sviluppo delle imprese, con particolare riferimento alla valorizzazione delle comunità di stakeholder (dipendenti, fornitori, clienti, investitori, comunità territoriali, associazioni ambientaliste)? «La direttiva 2014/95 si basa sul principio “comply or explain” (“adeguati o spiega perché non lo fai”) e quindi in teoria non obbliga un’azienda a “fare”; ma ammettere pubblicamente l’inazione su temi importanti può avere delle ripercussioni negative sulla reputazione di un grande gruppo e con gran probabilità sul business - spiega Eleonora Giada Pessina, Group sustainability officer di Pirelli -. L’aumento di stakeholder engagement “attivo” (il coinvolgimento dei portatori di interesse) non è garantito dalla direttiva, ma vivamente perseguito dai gruppi maggiori, già adesso, nella prassi».

    Sulla stessa linea d'eccellenza di Pirelli vuole posizionarsi una Pmi come Protom, società leader a livello europeo nei servizi avanzati di ingegneria e consulenza per lo sviluppo di progetti e soluzioni ad alto grado di innovazione. Protom - quartier generale a Napoli, uffici operativi in Lombardia, Lazio, Puglia e in Francia e commerciali in Gran Bretagna e in Brasile - lavora per big player come Leonardo, Fca, Superjet, Piaggio Aerospace, Atr, Hitachi e Airbus, ma non è stata da loro “costretta” a fare una rendicontazione etica: ha scelto liberamente e con entusiasmo di adottare le regole del Global Compact Onu sui diritti umani, il lavoro, l’ambiente e l’anticorruzione. «Abbiamo deciso - spiega il fondatore di Protom, Fabio De Felice, anche docente di ingegneria e delegato del rettore all’Università di Cassino - di modellare tutte le nostre attività sui principi del Global Compact e sui 17 obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite. Ad esempio, tutta l’attività di progettazione per l’aeronautica, il ferroviario e l’automotive punta a mezzi di trasporto che riducano il più possibile l’impatto ambientale e il quest’ottica va intesa la nascita del Green Energy Lab, che proporrà soluzioni per la mobilità ecosostenibile. Anche il nostro team che si occupa di consulenza alla Pubblica amministrazione ha il mandato di lavorare a progetti che puntino a un miglioramento sociale ed ambientale delle aree coinvolte».

    I vantaggi? Oltre al recupero di efficienza stimato e alla soddisfazione di agire in modo etico, «guadagneremo una visione internazionale a 360° che ci aiuterà anche nel business, estendendo l’offerta e servendo meglio i clienti, nonché acquisendo un vantaggio competitivo su competitor esteri, che non si sono ancora posizionati sulla scacchiera Esg (environment, sustainability, governance)».

    E i grandi gruppi soggetti alla direttiva 2014/95/UE come dovranno reinterpretare la sostenibilità e con quali vantaggi per i loro stakeholder? «La direttiva sprona a considerare tutti i portatori di interesse dell’azienda, in ottica di valore condiviso oltre che di mera trasparenza - spiega Piermario Barzaghi, partner di Kpmg -. I primi a beneficiarne saranno gli investitori, che utilizzano, tra gli altri, anche i dati relativi alla sostenibilità per prendere le proprie decisioni. Per quanto riguarda gli altri stakeholder (clienti, cittadini, territorio, terzo settore, etc.) il beneficio si traduce nella possibilità di accedere a informazioni di carattere etico-sociale che consentono scelte di acquisto più consapevoli. L’informativa non finanziaria va pensata dunque in modo strategico, fissando obiettivi precisi e misurandone il raggiungimento al fine di contribuire all’implementazione degli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite».

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