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Dossier Mele, oltre alla Dop si coltiva il rinnovamento

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    Dossier | N. 3 articoliRapporto Trentino

    Mele, oltre alla Dop si coltiva il rinnovamento

    In Trentino il tempo delle mele non passa mai. Perché dopo il periodo di raccolta, che va da settembre ai primi di novembre, le altre stagioni vengono scandite con un’offerta di prodotto ampia, per quantità e gamma varietale, che copre circa un quarto del totale nazionale. Ma anche perché la coltivazione di mele, al di là del valore economico generato in agricoltura e nell’indotto, è un’attività che in questo territorio affonda le sue radici da secoli. Assumendo un ruolo sociale e di salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente.
    Un ruolo che verrà celebrato l’8 e 9 ottobre con la tradizionale festa della mela, Pomaria, in Val di Non e Val di Sole.
    L’analisi Swot del Programma di sviluppo rurale del Trentino evidenzia che la provincia è abitata da poco più di mezzo milione di persone e ha una superficie di 6.200 chilometri quadrati, classificati per il 97,5% come “area rurale con problemi complessivi di sviluppo”. Un territorio dove le mele sono però una specificità ad alto valore aggiunto. L’agricoltura, caratterizzata da elevata frammentazione aziendale e polverizzazione fondiaria, nel complesso può contare su circa 137mila ettari e 16mila aziende. Aziende che hanno una superficie media di 8,3 ettari (un dato in linea con quello nazionale), ma delle quali oltre il 63% ha un’estensione inferiore a 2 ettari.

    E in questo contesto la melicoltura rappresenta un settore trainante. A fronte di un valore della Produzione lorda vendibile (Plv) agricola di circa 700 milioni (dati Censimento Istat 2010), la frutticoltura in Trentino pesa per il 33% e le mele rappresentano l’82% del valore della produzione di frutta.
    I meleti interessano una superficie di circa 11mila ettari e quasi 5.900 aziende, per lo più concentrate nella Val di Non, dove la mela nel 2003 ha ottenuto il riconoscimento comunitario Dop (Denominazione di origine protetta). Un «bollino» che sancisce lo stretto legame con il territorio (Dop «Mela Val di Non») e che in base al disciplinare di produzione prevede la coltivazione di tre varietà: Golden delicious, che garantisce quasi il 70% della Plv melicola provinciale, Red delicious e Renetta del Canada. Nonostante il riconoscimento Dop, del quale si fregia anche il marchio «Melinda» - quello dell’omonimo Consorzio, cui fanno capo 16 cooperative e 4mila famiglie - negli ultimi anni l’offerta di mele in Trentino si è ampliata, riqualificata e rinnovata (e questo ha portato al «boom» di varietà come la Gala), con una profonda ristrutturazione degli impianti che hanno sfruttato ancora di più la forte vocazionalità del territorio. E questo rinnovamento ha consentito da un lato di soddisfare le esigenze del mercato, anche estero (che assorbe circa un quarto delle vendite); dall’altro, di contenere i problemi di malattie delle piante nelle zone meno vocate per alcune varietà.

    La produzione di mele in provincia, che quest’anno è prevista in leggero calo (522mila tonnellate, -3% in base a stime Assomela-Cso Italy), è quasi interamente ottenuta con metodo di agricoltura integrata. Questo con l’obiettivo di garantire produzioni sane per il consumatore, preservando l’attività agricola nel rispetto dell’ambiente e dei luoghi di lavoro e razionalizzando i costi.
    Proprio per mettere a punto una frutticoltura più sostenibile, sicura e a minore impatto ambientale, nel giugno scorso è stato tra l’altro sottoscritto il Programma servizi 2016 tra la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, centro di formazione, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico ormai noto a livello internazionale, e l’Apot (Associazione produttori ortofrutticoli trentini). «Una convenzione che si rinnova da otto anni - osserva Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot e di Assomela - e che risponde alle richieste dei produttori di introdurre adeguate tecniche di coltivazione a sostegno del reddito aziendale e rispettose dell’ambiente».

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