Economia

Chimica, leadership europea a rischio, ma resiste l’innovazione

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la questione industriale

Chimica, leadership europea a rischio, ma resiste l’innovazione

Se è sano realismo ammettere che l’Europa ha perso la corona della chimica mondiale, almeno sul piano dei ricavi e della produzione, lo è ancora di più dire che «in questo momento cruciale per la competitività di questo che è il quinto settore manifatturiero in Europa, bisogna investire e soprattutto creare le condizioni adeguate per attirare gli investimenti in Europa», ha spiegato ieri a Firenze, all’assemblea annuale del Cefic, Hariolf Kottman, ceo di Clariant che ha raccolto il testimone della presidenza dell’associazione dal ceo di Solvay, Jean Pierre Clamadieu.

Già perché la corona dell’innovazione di prodotto è ancora saldamente nelle mani dell’Europa ed è su quella che bisogna puntare. Soprattutto perché, numeri alla mano, sono i settori della chimica fine e specialistica, quelli che poi determinano il successo e il presidio dei mercati esteri da parte di un paese come l’Italia che nel 2015 ha raggiunto un surplus commerciale di 2,8 miliardi di euro.

L'EXPORT DELLA CHIMICA A CONFRONTO
Variazioni % 2010 - 2015

Tornando ai dati forniti ieri dal Cefic, la quota di mercato dell’Europa si restringe sempre di più. Le vendite nel 2015 sono scese a 519 miliardi di euro, contro i 536 miliardi del 2014 e questo significa che la fetta di chimica prodotta dall’Europa a livello mondiale è passata dal 17,3% al 14,7% . Al contrario la Cina , per esempio, è passata dall’11,6% al 39,9% negli ultimi 10 anni. La sfida con i giganti asiatici ormai è ai limiti dell’impossibile, anche perché le aziende europee sono gravate da costi regolatori che i giganti asiatici non sanno nemmeno cosa siano. Lasciamo parlare ancora una volta i dati. Un’analisi della stessa Commissione europea ha evidenziato che i costi regolatori incidono per il 12% del valore aggiunto e per il 30% sul margine operativo lordo delle imprese europee. Se andiamo indietro nel tempo si constata che questi costi sono addirittura raddoppiati negli ultimi 10 anni : questo significa che c’è e ci sarà sempre più un impatto sulla profittabilità delle imprese. Un impatto che però rischia di far perdere competitività all’industria chimica, co me ha detto il nuovo direttore generale del Cefic, Marco Mensik. L’altro lato della medaglia ci mostra però un settore con un’elevata performance a livello ambientale: si pensi solo che l’intensità energetica dal 1990 è scesa del 50% e che ogni unità di CO2 emessa dall’industria chimica contribuisce a ridurre di 26 unità le emissioni a valle.

PRODUZIONE CHIMICA E MANIFATTURIERA IN ITALIA
Indici destagionalizzati, 2007 = 100

All’assemblea era presente una folta delegazione di imprenditori italiani di Federchimica che rilevano all’unanimità l’impatto della crisi dei consumi sull’andamento del secondo semestre di quest’anno. Il presidente Cesare Puccioni pur prevedendo una chiusura di anno con il segno più per la produzione, tuttavia spiega che «incertezze sul contesto economico e politico e sul petrolio stanno giocando negativamente mantenendo bassi i livelli di domanda e ancora immutata la frammentarietà degli acquisti che ha caratterizzato tutta la lunga crisi. Il 2016 si chiuderà con un aumento dell’1% dei livelli produttivi». Numeri che mostrano come l’Italia vada meglio dell’Europa che per il 2016 metterà a segno un risultato complessivo di stagnazione. Secondo il Cefic, in Europa, anche un possibile miglioramento nella seconda parte dell’anno non potrà determinare una crescita media superiore allo 0,5% della produzione. Si conferma comunque la performance dell’export e il presidio dei mercati esteri che è il risultato dell’innalzamento tecnologico dei prodotti. Non stupisce quindi che l’indicatore sintetico di competitività elaborato dall’Istat ponga la chimica in cima alla classifica per propensione all’export, quota di imprese innovative, redditività e rapporto tra produttività e costo del lavoro.

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