La sindrome cinese - fatta prima di tutto da dumping ambientali e salariali - va combattuta con gli antibiotici dei dazi. Soltanto in questo modo si può ottenere la salute della buona concorrenza. L’Unione europea, così divisa e così disunita su molti altri aspetti, lo ha capito bene in un caso: la siderurgia, che negli ultimi anni ha subito l’aggressione della Cina. Siamo all’inizio. Molto è ancora da fare. Ma la decisione di ieri sancisce la formazione del primo nocciolo duro di uno “Steel Compact” – l’insieme di regole e protezioni, indirizzi di policy e attivazione di energie imprenditoriali – in grado di preservare la nostra identità industriale e tecnologica, sociale e culturale: nel meccano reale delle specializzazioni produttive, la siderurgia è la base tecno-manifatturiera su cui è edificato il castello dell’intera industria; nella memoria del Vecchio Continente uno dei primi passaggi è la costituzione, fra il 1951 e il 1952, della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Dunque, la scelta di ieri tutela il passato, protegge il presente e soprattutto favorisce il futuro. Sotto il profilo politico, non vi deve essere nessuna indulgenza verso la classificazione formale della Cina come economia di mercato. Soprattutto quando la Cina inonda i mercati globali di prodotti sotto costo, alterando i meccanismi della concorrenza internazionale e trasformando il mercato in una specie di hard-discount allestito per scaricare da un lato all’esterno le proprie contraddizioni interne – meglio aumentare dolosamente l’export perdendo soldi per unità di prodotto, piuttosto che ridurre dolorosamente il personale in Cina – e per eliminare dall’altro lato le imprese dei Paesi occidentali. Sotto il profilo concreto, la graduale costruzione di una diga regolamentare permetterà ai protagonisti dell’industria siderurgica europea – industriali e sindacalisti, politici e euroburocrati – di fermarsi, tirare il respiro, guardarsi negli occhi e definire che cosa fare su una serie di temi spinosi: la riduzione controllata dell’output produttivo, la chiusura non traumatica delle fabbriche del Novecento più antiquato e retrivo, la rimodulazione del mix fra vecchie e nuove specializzazioni. La siderurgia di base, che ha permesso l’industrializzazione e l’infrastrutturazione europea degli ultimi 150 anni, deve essere riqualificata. Gli acciai speciali, in grado di diffondere innovazione a tutti i livelli e in ogni settore, vanno sostenuti. All’Europa, serve un upgrading. E, ieri, è stato compiuto un primo passo.
© Riproduzione riservata