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La pasta made in Italy vola all’estero

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La pasta made in Italy vola all’estero

Bloomberg
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La pasta made in Italy resta superstar in casa, all’estero e sul web, dove è tra i cibi più cliccati. La produzione ha toccato 3,2 milioni di tonnellate (14,3 milioni di tonnellate prodotte nel mondo) con una crescita in poco meno di vent’anni del 57%, mentre l’export è volato del 50 per cento. In pratica un piatto di pasta su 4 nel mondo è tricolore, 3 su 4 in Europa che resta il bacino più consolidato.

Con un incremento delle vendite in Germania, Regno Unito, Olanda, Belgio e Austria che ha raggiunto il 150 per cento. Anche gli Stati Uniti si confermano uno sbocco privilegiato, ma la vera novità sono le nuove aree, dall’Asia (+80%) alla Penisola Araba con l’exploit degli Emirati dove l’aumento ha toccato il 142 per cento. Si consolida anche il numero di paesi che producono in proprio la pasta. Negli Stati Uniti si sta rafforzano un’industria locale che rappresenta ormai il 36,6% della produzione mondiale, mentre una delle ultime entry è l’Iran.

È la fotografia scattata dall’Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) che ieri ha presentato la diciottesima edizione del «World Pasta Day», in programma il prossimo 25 ottobre a Mosca.

L’export resta il motore del settore ma sta registrando qualche segnale di rallentamento soprattutto per effetto dell’embargo russo che non colpisce direttamente la pasta ma che certo ne ha compromesso lo sviluppo sul mercato russo, complice anche le difficoltà del rublo che la rendono un prodotto costoso. Rispetto al 2015 le vendite in Russia sono scese di oltre il 50% e anche nei primi sei mesi del 2016 la caduta è proseguita (-31%). Per il presidente di Aidepi, Paolo Barilla «ci sono ancora margini per rilanciare questo mercato e tornare a crescere». Barilla ha anche ribadito la scelta dei pastai italiani di puntare sulla qualità. E Aidepi ha rispedito al mittente le critiche di chi considera un «tradimento» l’arricchimento con prodotto estero della miscela di grani duri.

«I documenti di archivio- spiega Aidepi - ci dicono che è vero esattamente il contrario. La tradizione pastaia italiana si è fondata da sempre anche sull’utilizzo di grani esteri di qualità, miscelati in percentuali tra l’altro molto superiori a quelle attuali. Si stima che la dipendenza dall’estero tra fine Ottocento e primi Novecento ammontasse a circa il 70% del totale di grano utilizzato». Ora si sta cercando di ricomporre le tensioni nella cabina di regia istituita due anni fa dal ministero dello Sviluppo economico e riattivata dal ministro Carlo Calenda . «È necessario - ha spiegato Barilla- un gioco di quadra, devono lavorare tutti insieme, agricoltura, industria e chi la pasta la propone. Noi puntiamo sulla qualità della materia prima. Utilizziamo solo il miglior grano duro italiano e proveniente dall’estero disponibile sul mercato. Se non usassimo il grano importato mangeremmo tutti meno pasta, rinunciando in media a 3 pacchi su 10 o rinunciando quasi del tutto a esportare la pasta». Un impegno confermato dagli accordi interprofessionali che da anni Barilla sigla con i produttori agricoli in Emilia Romagna. D’altra parte Aidepi ha ribadito che se un prodotto è forte traina l’intera filiera.

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