Lungo la via Emilia ci sono una consapevolezza e una propensione a investire nelle tecnologie 4.0 superiori alla media del Paese, ma la rivoluzione digitale resta confinata dentro la fabbrica, verticalizzata e poco condivisa e contaminante in logica di distretti e filiere. È una fotografia che conferma il pionierismo dell’ecosistema emiliano, ma anche le resistenze del manifatturiero ad affrontare la sfida “smart” e ad aprirsi a fonti di capitali alternative quella scatta dal colosso della consulenza EY in occasione della quarta conferenza internazionale GRO-Global restructuring organization, tenutasi ieri a Modena.
L’industria regionale del food, della ceramica, della meccanica e del packaging è indubbiamente più avanti del resto de Paese, raccontano i risultati emersi dalla ricerca EY sull’approccio emiliano rispetto alle evidenze della recente indagine nazionale di Federmeccanica: oltre il 60% delle aziende emiliane intervistate dimostra buona conoscenza della maggior parte delle tecnologie Industry 4.0 (contro il 50% rilevato da Federmeccanica); meno del 10% esclude investimenti in new-tech nei prossimi tre anni e meno del 25% (contro il 50% di Federmeccanica) non prevede investimenti in tecnologie 4.0; ma per oltre la metà del campione la sfida digital è legata solo all’efficientamento della fabbrica e alla riduzione dei costi (10%) e non come dovrebbe essere, ossia una chance inedita per ripensare a 360° l’approccio competitivo dell'azienda.
«Le imprese sono ancora molto concentrate nelle automazioni di fabbrica, oltre il 60% dei manager intervistati dichiara che sono i grandi fornitori di tecnologie di processo gli attivatori del cambiamento, la dialettica si ferma per lo più a livello di top management e appena un imprenditore su cinque ha un approccio strutturato alla trasformazione 4.0», spiega il partner EY Marco Menabue, presentando a Modena la ricerca “Industry 4.0: la rivoluzione della porta accanto”. Aprire la porta della fabbrica alla cross fertilization di competitor, clienti, fornitori, investitori esterni è il principale freno – culturale perché radicato nei campanilismi e nell’essenza familiare dell’azienda – a compiere il salto strategico nella quarta era industriale verso una “personalizzazione di massa” dei prodotti, verso fabbriche parlanti, flessibili, interconnesse e verso un dialogo sinergico uomo-macchina.
«Le tecnologie ci sono, le grandi imprese è anni che le vanno sviluppando, a far difetto è l’applicazione e la contaminazione digitale dentro la massa di Pmi» è il leit motive emerso dalle testimonianze di Barilla, Tetra Pack, Florim, Emmegi, Meta System, che trova conferma nell’indagine di EY. «Quasi il 50% delle imprese intervistate non crede che il distretto giochi un ruolo fondamentale nel trainare le piccole aziende verso le tecnologie 4.0 , se non si tratta di fornitori chiave per la capofiliera e questo da un lato allarga il gap tra big company e Pmi e dall’altro ostacola le economie di distretto», sottolinea il partner EY Enrico Terenzoni. Mentre le tecnologie digitali offrirebbero un boost unico per connettere distretti e filiere e trasformarle in meta-aziende.
La struttura produttiva italiana non aiuta, ricorda il vicepresidente di Cassa depositi e prestiti, Mario Nuzzo, entrando poi nel dettaglio delle nuove misure del piano Calenda Industria 4.0: il 30% del valore aggiunto è prodotto in Italia da microimprese e lavoratori autonomi, un dato molto alto che non ha uguali nelle economie occidentali e che limita l'innovazione, perché meno del 20% delle piccole realtà investe con costanza in R&S, contro il 50% delle grandi imprese; così come sono la metà della media europea le dimensioni delle start-up italiane e questo a sua volta rallenta la crescita e la sopravvivenza sul mercato.
«Il fattore tempo diventa strategico, perché nell’era 4.0 si misura al massimo in giorni e non più in anni» ricorda il responsabile Industrial product EY Marco MignanI . «I risvolti non sono indifferenti» ribadisce Antonio Tullio, professore di Diritto privato all’UniMore e presidente di Gro, l’associazione per lo studio dell'impresa, che nel pomeriggio ha riunito a Modena i massimi esperti italiani di diritto fallimentare per discutere di ristrutturazioni e concordati.
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