Economia

Ferrero si schiera in difesa dell’olio di palma

  • Abbonati
  • Accedi
alimentare

Ferrero si schiera in difesa dell’olio di palma

Ci sono aziende che hanno scelto di alimentare i consumatori con la paura dell’olio di palma. Lo dicono negli short della pubblicità: non usiamo olio di palma. Lo scrivono con grandi caratteri sulle confezioni: senza olio di palma. Invece la Ferrero di Alba — udite udite — fa il contrario e dice: noi l’olio di palma lo usiamo perché non vi alimentiamo con le bufale. Ha riunito ieri a Milano un gruppo di scienziati e di esperti per documentare una difesa appassionata di questo prodotto.

Uscire dal mainstream dei luoghi comuni non è una scelta facile per chi, come la Ferrero, produce beni di larghissimo consumo. E tra i beni di larghissimo consumo c’è la Nutella, nata nel ’64 ad Alba proprio con quell’olio di palma che consentì per la prima volta qualità e cremosità irraggiungibili agli altri grassi se non venivano idrogenati chimicamente e pericolosamente.

Le alternative chimiche

Non a caso chi oggi vuole rinunciare all’olio di palma nei suoi cicli produttivi deve rivolgersi spesso a reazioni come la interesterificazione degli acidi grassi: sugli ingredienti dell’etichetta è scritto semplicemente “olio di girasole”, ma quell’apparentemente innocuo olio di girasole spesso è stato sottoposto a un processo che ricolloca la posizione degli acidi grassi sulla glicerina senza ricorrere all’idrogenazione che genere composti trans.

Tutto questo con i frutti rossi della palma non serve: l’olio è già perfetto così com’è.

Alessandro D’Este, amministratore delegato della Ferrero Commerciale Italia, ieri all’evento sull’olio di palma ha spiegato che proprio la neutralità di sapore che non nasconde nocciole e cacao, proprio gli antiossidanti che impediscono al prodotto di avariarsi, proprio la morbidezza della fusione ai 32 gradi del palato hanno reso 50 anni fa la Nutella unica sul mercato delle creme gianduia del Cuneese, decretandone il successo in tutto il mondo. Non a caso la casa dolciaria di Alba oggi da sola rappresenta l’1% del consumo mondiale di olio di palma.

«Vogliamo far parlare gli esperti per la responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri consumatori — osserva D’Este. — Li sentiamo spaventati, incerti; si domandano che cosa devono scegliere e sono in qualche modo disorientati dalla comunicazione, non sempre trasparente».

Fra gli esperti riuniti a Milano ieri hanno parlato due persone che possono sembrare appartenenti a fronti opposti della barricata, il viceministro delle Politiche agricole Andrea Olivero e un’ecologista, Chiara Campione di quell’associazione Greenpeace che tre settimane fa aveva abbordato a Rotterdam un mercantile carico di olio di palma. Eppure entrambi, il rappresentante del Governo e l’attivista ambientalista, dicevano cose allineate fra loro.

Greenpeace approva

La Ferrero e Greenpeace non sono i soli alleati a sostegno di questo olio. Per esempio anche lo standard di certificazione Rspo promuove l’olio di palma sostenibile con il Wwf. Ma Greenpeace sostiene lo standard Poig, attento non solamente sulla qualità della produzione ma anche sull’impatto ambientale. Ricorda Campione di Greenpeace che «non si devono estendere i palmeti da olio incendiando le torbiere e la foresta pluviale». E la Ferrero viene premiata da Greenpeace perché certifica con entrambi i rigorosi standard Rspo e Poig l’olio usato nei suoi prodotti.

Le paure dei consumatori

Non è vero che l’olio di palma produce alla salute danni diversi dagli altri oli e grassi (Elena Fattore, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri). Non è vero che viene danneggiato l’ambiente se si usa l’olio di palma certificato secondo gli standard più severi (Chiara Campione, Greenpeace).

Invece è vero che l’olio di palma evita che l’alimento sia immangiabile per avaria (Giovanni Lercker, Università di Bologna). La moda degli alimenti “senza” un ingrediente spaccia per negativo quell’ingrediente e spaccia per migliore l’alimento che non lo contiene (Claudio Bosio, Cattolica di Milano).

Disinformazione

«Io lo chiamo enfaticamente terrorismo della disinformazione alimentare: in questi anni molte, troppe volte abbiamo assistito a operazioni di disinformazione che fanno leva sull’ignoranza e hanno dietro interessi economici ben precisi, volti alla sostituzione di prodotti e a creare turbative sul mercato», denuncia il viceministro Olivero.

Un’osservazione a margine. Con ogni probabilità, qualche lettore interpreterà come operazione di lobby e di disinformazione sia l’evento scientifico della Ferrero e sia questo articolo.

© Riproduzione riservata