Grandi vantaggi per l'azienda e i suoi azionisti dal taglio del consumo idrico del 9,1% e dalla svolta sulle materie prime, ora composte per il 54% da carta da riciclo. E grandi vantaggi per l'ambiente: oltre 5.000 tonnellate di CO2e (anidride carbonica equivalente) in meno in atmosfera e 900mila alberi salvati solo con il progetto di riciclo Fiberpack (che ha appena vinto il premio speciale Sodalitas Best in class).
Questi alcuni risultati della produzione sostenibile di Lucart Group, pubblicati nell'undicesima edizione del rapporto di sostenibilità, che verrà presentato alla fiera Ecomondo di Rimini (8-11 novembre). La società leader della carta brinda al suo «passaggio da un'economia lineare a un'economia circolare, privilegiando l'utilizzo di fibre recuperate, in grado di preservare l'ambiente e garantire lo sviluppo delle comunità locali, senza rinunciare alla qualità dei prodotti», afferma l'amministratore delegato Massimo Pasquini. Tanti i vantaggi fotografati nel report. Con buona pace di altre imprese che temono aggravi derivanti dal prossimo pacchetto normativo europeo sull'economia circolare.
Questa di Lucart è una delle migliori pratiche europee sul reporting di sostenibilità, che spinge a effettuare analisi di sprechi e consumi e a individuare progetti per ridurli. Di storie simili, comunque, ce ne sono tante. Come quella di Liquigas (joint venture tra il Gruppo Brixia e il colosso olandese Shv), leader italiano nella distribuzione di Gpl in serbatoi e bombole. «Nel report di sostenibilità quest'anno presentiamo uno studio di EY che calcola il contributo economico e sociale dell'azienda al sistema Paese lungo tutta la catena del valore – spiega l'amministratore delegato, Andrea Arzà -. Nel 2015 Liquigas ha messo in campo oltre 170 milioni di euro tra acquisti e investimenti, che hanno aiutato a generare oltre 3.900 posti di lavoro, contribuito al Pil nazionale per 322 milioni e generato 90 milioni di contribuzione fiscale. Numeri che definiscono i confini della nostra responsabilità presente e futura. Sostenibilità vuol dire anche porre le basi per la competitività di lungo periodo dell'azienda, con la consapevolezza di creare valore per tutti gli stakeholder».
Una strategia, questa di misurare il valore creato, formalizzata dai super consulenti Porter e Kramer nel modello dello shared value (valore condiviso). Un modello seguito in Italia da Tim e su cui stanno lavorando anche altre imprese, come la multiutility Hera. Tante altre aziende, invece, sono orientate ai principi del Global compact o ai 17 obiettivi di sostenibilità delle Nazioni unite (Sustainable development goals, Sdg). Senza trascurare l'interesse per l'economia circolare (alternativa anti-spreco a quella lineare che va avanti da secoli) e per i temi del cambiamento climatico.
Il tutto mentre i grandi gruppi di interesse pubblico aspettano l'ormai prossimo decreto legislativo di attuazione della direttiva sulle informazioni non finanziarie, per adeguare la loro comunicazione a una maggiore trasparenza su temi ambientali, etici, sociali e di governance: la direttiva Ue non rende obbligatorio il reporting integrato (tra bilancio civilistico e quello di sostenibilità) ma lo caldeggia.
Ma che sta succedendo nel mondo del reporting di sostenibilità, fra tutti questi input? «Sta evolvendo in due direzioni che al momento sembrano più complementari che alternative – spiega Fulvio Rossi, presidente del Csr manager network (l'associazione dei manager della responsabilità sociale d'impresa, la Csr) -. Da un lato è sempre più diffuso, anche a livello internazionale, il riferimento alle linee guida GRI, che si pongono come uno standard che garantisce la copertura di tutti i temi rilevanti per gli stakeholder attraverso indicatori comparabili. Da un altro, cresce l'interesse (anche se i numeri sono ancora piccoli) per il rapporto integrato, dove i temi di sostenibilità sono illustrati in quanto collegati alla creazione di valore: un approccio più selettivo e sintetico, ma di grande portata informativa».
E come cambia lo storytelling della sostenibilità? «Ci sono diverse chiavi di lettura che possono essere adottate nella parte narrativa dei report - prosegue Rossi -. Tra queste assumono particolare rilievo le tematiche che anno ricevuto crescente attenzione a livello internazionale negli ultimi mesi: i Sustainable development goals, l'economia circolare, l'accordo di Parigi sul clima. Ci aspettiamo che questi temi trovino un maggiore spazio nei rapporti e nei piani di sostenibilità delle imprese più sensibili».
Quanto al decreto legislativo in tema di informazioni non finanziarie ormai in dirittura di arrivo, il giudizio del Csr manager network è positivo. «Nel testo ora disponibile è contemplata la possibilità che le imprese che già pubblicano le informazioni ambientali e sociali richieste possano fare riferimento a queste, senza dover produrre un nuovo documento apposito – spiega Rossi -. È un passaggio importante, perché in questo modo chi già è attrezzato non avrà oneri aggiuntivi. Nel complesso, come Csr manager abbiamo sempre guardato con favore al contenuto della direttiva: è vero che la responsabilità sociale è e deve rimanere un'attività volontaria, ma è anche vero che la misurazione e la rendicontazione possono innescare un circolo virtuoso: la misurazione porta alla consapevolezza, e da qui possono prendere il via comportamenti sostenibili».
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