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Le imprese emiliane crescono, le banche latitano: -1,2% i…

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CONGIUNTURA

Le imprese emiliane crescono, le banche latitano: -1,2% i prestiti

Cresce, a testa bassa e a passo lento, ma cresce l’industria emiliano-romagnola, a dispetto della frenata dei mercati mondiali, cruciali per un’economia il cui Pil per il 40% dipende dall’export. Pure l’edilizia ha finalmente smesso di arretrare nella prima metà dell'anno. Il tasso di disoccupazione è sceso fino al 6,8% a giugno. E se quest’anno il 30% delle imprese ha rivisto al rialzo il piano di investimenti, quota che salirà al 40% nel 2017. Solo il credito al tessuto produttivo non volta pagina: -1,2% nei primi sei mesi . Con una incidenza delle sofferenze del 21% che sale al 31,1% se si considerano anche i crediti deteriorati.

I PRESTITI ALLE IMPRESE
Var % sullo stesso periodo dell'anno precedente. (*) Società semplici, società di fatto e imprese individuali fino a 5 addetti (Fonte: Banca d'Italia)

Le aziende sane non chiedono finanziamenti perché hanno cassa a sufficienza per autofinanziarsi (+ 6,2% i depositi delle imprese a giugno 2016 ), mentre le piccole realtà a bassa capitalizzazione al credito non hanno accesso, neppure nel contesto di iperliquidità in cui siamo immersi in Europa. I dati di metà anno sull’economia regionale presentati ieri a Bologna dalla Banca d’Italia hanno fatto da cornice all’assemblea annuale di Cna Emilia-Romagna dal titolo emblematico: “Le imprese meritano credito”. Credito in senso di fiducia – sottolinea il presidente degli artigiani, Paolo Govoni – e credito nel senso di finanziamenti. «I piccoli operatori non solo hanno minori disponibilità di finanziamenti (-3,2% il trend a giugno scorso, su base annua, contro il -0,7% delle medie-grandi imprese rileva Bankitalia, ndr), ma pagano i prestiti un 2,5% in più», sottolinea il vicepresidente Prometeia, Giuseppe Lusignani, secondo cui dopo il –0,1% di questo 2016, il credito alle imprese tornerà in terreno positivo dal prossimo anno: +0,7% nel 2017, +2% nel 2018.

Le costruzioni sono l’imputato numero uno della morsa creditizia e dei 55 miliardi di perdite accumulate dal sistema bancario del Paese negli ultimi quattro anni, ricorda Lusignani: l’incidenza delle sofferenze sui presti è del 34% in edilizia, contro il 12,2% nell’industria in senso stretto. Così come c’è della sana prudenza nei banchieri nel momento in cui nicchiano di fronte alle microimprese: mentre fatturato, produzione e ordini crescono sopra i 2,5 punti per le grandi imprese della via Emilia nel secondo trimestre 2016, per le aziende sotto i 10 addetti i valori sono ancora negativi, seppur di poco.

LA SPESA PER INVESTIMENTI
Le risposte del campione di imprese (Sondaggio Banca d'Italia)

«La via Emilia resta il posto giusto per fare cose difficili, per le sue filiere specializzate, le scuole preparate, i laboratori di ricerca – rimarca il presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio Marchesini – ma bisogna che ai nostri subforntiori sia riconosciuto il merito di credito della filiera e quindi di noi grandi gruppi capocommessa». Una mano al rilancio del credito e degli investimenti la danno operazioni come quella conclusa il 21 settembre in regione, dove Fidindustria (il consorzio fidi industriale) si è fuso per incorporazione nell’Unifidi di Cna e Confartigianato, dando vita a uno dei big player in Italia, con 750 milioni di euro di stock di garanzie e una base sociale di 80mila imprese.

«Ma il nostro obiettivo è arrivare a un unico consorzio fidi che rappresenti tutte le strutture associative», esorta il presidente della Regione Stefano Bonaccini, ricordando come sia la capacità di fare sistema della via Emilia a farne oggi la locomotiva del Paese, grazie alla ripresa del lavoro (46mila nuovi posti creati nei primi sei mesi dell’anno) di Pil (+1,1% la stima 2016) e alla tenuta dell’export (+1,6% nel primo semestre per battere il record 2015 di 55 miliardi). «I segni della ripresa iniziano a leggersi nella riduzione dei crediti deteriorati, anticamere delle sofferenze. E non va dimenticato - sono le conclusioni del direttore di Bankitalia a Bologna, Francesco Trimarchi – che oggi le banche hanno molte meno imprese da alimentare, il tessuto economico si è riconfigurato e non è più comparabile con quello del 2007: la crisi ha seppellito il modello di impresa povera con l’imprenditore ricco. Ora è il turno della ristrutturazione dell’industria bancaria che deve rendersi coerente con un mercato da finanziare ridotto e gli effetti della digitalizzazione».

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