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Piano Expo fuori dal decreto fiscale

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MILANO

Piano Expo fuori dal decreto fiscale

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Il piano di liquidazione dell’Expo è ancora in alto mare e il rischio è che possa finire nel peggiore dei modi, con i libri in tribunale e un commissario che si occupi del fallimento societario. La situazione è di nuovo precipitata ieri: la commissione Bilancio della Camera dei deputati, presieduta da Francesco Boccia (Pd), ha giudicato «improponibile» la norma del decreto fiscale che avrebbe garantito 9,4 milioni da parte del governo alla società Expo spa per l’attività ordinaria di liquidazione.

La stessa norma era stata già cancellata la scorsa settimana dalla legge di bilancio: comma troppo tecnico rispetto ad una legge «macroeconomica», si era detto a Palazzo Chigi, dove tutti però - dal ministro all’Agricoltura Maurizio Martina al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti - avevano comunque assicurato il recupero del provvedimento nei giorni successivi. Ma così non è stato. Anzi, la seconda cancellazione a Milano è stata vissuta come una provocazione, oltre che come un problema. Inoltre la prospettiva dell’inserimento dentro il maxiemendamento al bilancio appare una forzatura poco realistica.

Da ricordare che a quei 9,4 milioni sono agganciati gli altri messi sul piatto da Regione Lombardia e Comune di Milano, per un totale di 23 milioni di cui la società ha bisogno per portare avanti la gestione. Inoltre, oltre alla norma sulla liquidazione dell’evento universale, era prevista anche quella per avviare i lavori del campus universitario della Statale di Milano nell’ex sito espositivo, con i primi 8 milioni, finita nel cassetto come il resto.

Qualcosa, dunque, è andato storto anche ieri. L’interpretazione prevalente a Roma e a Milano è che questo colpo di spugna sia solo apparentemente tecnico. Perché se è vero, come ha sottolineato l’onorevole Boccia, che il decreto fiscale deve riguardare solo aspetti legati alla riforma del fisco, è anche vero che con il referendum costituzionale alle porte le correnti interne al Partito democratico si sono ricompattate, e certo Boccia non è noto per essere un renziano di ferro (negli anni passati era vicino all’ex premier Enrico Letta).

Indiscrezioni, non certezze. Di certo c’è solo che se non verrà trovata una soluzione entro l’assemblea di Expo del 28 novembre, la società potrebbe portare i libri in tribunale. Le principali attività ancora da svolgere sono il pagamento dei fornitori, per circa 50 milioni; l’incasso di 75 milioni da Arexpo, società dei terreni di Expo, per le infrastrutture realizzate lasciate in eredità; il recupero di 30 milioni Iva.

Il piano è stato impostato, ma per essere completato c’è bisogno di questa norma, che prevede tra l’altro anche l’istituzione definitiva del ruolo di commissario liquidatore (affidato a Gianni Confalonieri, responsabile delle Relazioni istituzionali del Comune di Milano). Inutile negare, infine, che lo stop alla liquidazione e il rischio di un fallimento è anche un danno d’immagine per l’evento universale.

Per il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che la scorsa settimana aveva già inviato una lettera per sollecitare una soluzione, «la questione è ancora aperta» e senza grandi polemiche ha invitato la politica romana alla coerenza rispetto a quanto annunciato.

Come se non bastasse, ieri il Servizio bilancio della Camera ha messo sotto la lente i contribuiti previsti dalla manovra al progetto Human Technopole, che sorgerà nell’area dell’Expo e la cui entità «non è giustificata». Nel dossier messo a punto dai tecnici di Montecitorio c’è infatti un rilievo sugli stanziamenti che dal 2017 in poi serviranno a finanziare il progetto del Tecnopolo e che la legge di bilancio elenca all’articolo 19: 10 milioni nel 2017; 114,3 per il 2018; 136,5 nel 2019; 112,1 nel 2020; 122,1 nel 2021; 133,6 nel 2022 e 140,3 a decorrere dal 2023. Un contributo per il quale - avverte il Servizio bilancio - «non sono forniti gli elementi utilizzati».

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