Economia

Le ceramiche della Sardegna superano la crisi con l’export

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storie d’impresa

Le ceramiche della Sardegna superano la crisi con l’export

Davanti alla possibilità di una chiusura hanno deciso di “fare muretto”, e provato a salvare la fabbrica di ceramiche made in Sardegna, sfidando un andamento tutt’altro che favorevole e quelle e che venivano definite le “previsioni nere” . Oggi non sono ancora fuori dalla tempesta, come ammettono, ma la «parte più brutta» sembra superata. E puntano al rilancio della produzione e al consolidamento del mercato internazionale (che conta il 70% della produzione) mentre provano ad affacciarsi su quello sardo (che conta circa il 10%). A fare i conti con quella che tra il 2013 e il 2014 sembrava una “rovinosa chiusura” sono i lavoratori e dirigenti della Cermed, ceramica mediterranea di Guspini, nel Medio Campidano in Sardegna.

Nata nel 1993 con il nome Terre cotte, con i programmi di riconversione industriale e mineraria l’azienda, ha subito il processo di privatizzazione nel 1998 (il 15% è ancora in capo alla finanziaria Regionale Sfirs) e ora produce ceramiche destinate per il 90% al mercato extraregionale. «Nel 2013 la situazione era preoccupante – spiega Annalisa Aru, responsabile del personale – sia per la crisi sia per i costi e la situazione finanziaria». Da allora però qualcosa è cambiato. «Diciamo che abbiamo fatto una scommessa seguendo due strade: abbattere i costi e responsabilizzare i lavoratori che diventano parte attiva del processo produttivo». Quindi qualche investimento. «Utilizzando le poche risorse disponibili e con diverse rinunce dei lavoratori – prosegue – abbiamo acquistato la stampante digitale che permette di avere un prodotto all’avanguardia e, allo stesso tempo, ottimizzato impianti e sistemi che permettono di recuperare vapore ed energia termica per far funzionare il sistema produttivo con un risparmio del 30% d’acqua e 20% di energia elettrica». Eppoi il personale. «L’obiettivo è stato quello di far sì che ogni lavoratore avesse e abbia consapevolezza del ruolo che svolge in azienda. Per questo motivo si svolgono periodici incontri in cui si spiega puntualmente lo stato economico dell'azienda». Non solo, a dare un sostegno anche il circuito Sardex. «Grazie a questo sistema – prosegue ancora la responsabile – siamo riusciti a superare parecchie difficoltà dovute alla mancanza di liquidità e ad andare avanti con la produzione e i progetti di rilancio».

Risultato? La produzione per lo stabilimento che utilizza una media di 320 tonnellate di argille al giorno, «tutte provenienti dalla Sardegna», per quasi tutto l’anno (lavorano a ciclo continuo 94 persone) è cresciuta e oggi si aggira intorno ai «15 mila metri quadri quotidiani di prodotto finito», «quanto due campi di calcio». Crescita anche per i ricavi che sono passati «dai 16 milioni di euro del 2014 ai 22 stimati per il 2016» e la sfida verso la conquista di nuovi mercati.

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