Brexit, post verità, genderless, trumplosion: sono solo alcuni dei neologismi più usati nel 2016. Nel mondo dell’alto di gamma – e dei consumi più in generale – si è invece sentita sempre più spesso l’espressione “new normal”, per indicare una fase diversa, di discontinuità rispetto alle crescite a due cifre degli anni scorsi in certi comparti. Diversa e allo stesso tempo destinata a essere la norma(lità).
Innumerevoli le analisi e i sondaggi che certificano il cambiamento delle abitudini di acquisto delle nuove generazioni e non solo, complice la rivoluzione portata da internet nel commercio, ma anche un approccio meno superficiale agli acquisti, con una sempre maggiore attenzione al rapporto qualità-prezzo e alla sostenibilità ambientale e sociale di un prodotto e di un’azienda. Il lusso e gli orologi, specie quelli di fascia alta, non fanno eccezione (si veda anche l’articolo sui colossi svizzeri su questo Rapporto Orologi).
Presentando l’annuale Altagamma Worldwide Luxury Monitor, frutto della collaborazione tra Bain&Company e Fondazione Altagamma, Claudia D’Arpizio, autrice del rapporto, si è soffermata sul segmento hard luxury: «Il comparto vale sempre il 22% del mercato totale dei beni di lusso personali, che nel 2016 passerà da 251 a 249 miliardi di euro, perdendo circa l’1%. L’alta gioielleria è cresciuta del 2% a 16 miliardi, mentre gli orologi sono passati da 39 a 36 miliardi, perdendo l’8% del fatturato». Sull’andamento degli orologi ha pesato soprattutto il calo delle vendite in Asia, che ha colpito in particolar modo la fascia altissima, e l’incapacità di smaltire gli stock accumulati da monomarca e multimarca. «Per la gioielleria non prevediamo cali, mentre per gli orologi la fase negativa potrebbe continuare – ha aggiunto Claudia D’Arpizio –. Ma è il quadro generale a essere cambiato: il 2016 ha confermato che siamo in un’era di new normal, le crescite a due cifre sono un ricordo».
La semestrale di Chow Tai Fook, colosso asiatico della gioielleria e orologeria basato a Hong Kong, conferma l’analisi di Altagamma-Bain, come riportava il quotidiano americano Wwd il 21 novembre: le vendite sono calate del 23,7% a 2,78 miliardi di dollari e l’utile è sceso del 21,5% a 157,3 milioni. La Cina (-20,9%) è andata meglio di Hong Kong e Macau (-25,7%), ma si tratta pur sempre di perdite di fatturato difficilmente recuperabili a breve.
Leggermente più ottimisti gli analisti di Vontobel, da sempre concentrati sul settore degli orologi e considerati tra i più attendibili: nell’ultimo report, pubblicato il 9 novembre, prevedono una leggera ripresa per l’ultimo trimestre del 2016 e per il 2017. Facendo un confronto con la crisi del 2009, innescata dal fallimento di Lehman Brothers del settembre 2008, René Weber ricorda che «i cali visti nel recente passato sono durati al massimo 15 mesi, mentre adesso siamo arrivati a 22 mesi di fila di sofferenza dell’export di orologi svizzeri».
Propositivo anche Luca Solca di Exane Bnp Paribas, che ha pubblicato con altri analisti della practice luxury della società francese il rapporto in due parti Damage assessment in the watch market. La prima parte (19 agosto) si concentrava su un macrotrend confermato dalla fiera di Basilea, la più grande e importante del settore: «È in corso un vero e proprio “shift to steel”, spostamento verso l’acciaio, per abbassare i costi dei prodotti finali e far fronte alla crisi dell’alto di gamma. Per molti anni a trainare l’alta orologeria è stata la pratica cinese del “gift giving”, che ora sembra archiviata per sempre». Nella seconda parte del rapporto (14 novembre), Solca si concentra sui due colossi del settore, Swatch Group e Richemont, per il quale prevede un rimbalzo dei ricavi del 4% nel primo semestre 2017. Più in generale, il problema, secondo Exane Bnp Paribas, è che gli orologi di lusso sono fatti e comprati per durare. «È una benedizione e una maledizione allo stesso tempo – spiega Solca –. Da una parte vengono visti come un bene rifugio, un investimento adatto a tempi incerti. Dall’altra non vengono “rimpiazzati” come altri beni di lusso, perché sono pressoché indistruttibili».
In un report del 22 novembre, infine, Barclays ha interpretato positivamente il dato di ottobre dell’export svizzero, sottolineando in particolare l’inversione di tendenza registrata nella Mainland China (+2,8% rispetto al -0,6% di settembre).
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