Economia

«Industria 4.0 chiave per la produttività»

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l’intervista

«Industria 4.0 chiave per la produttività»

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Sta girando per l’Italia, per spiegare alle imprese sul territorio la portata di Industria 4.0 e ciò che può significare per la crescita del paese. La sensazione che ne ricava è positiva: «le aziende sono pronte ad investire. C’è un grande lavoro da fare di comunicazione e di organizzazione per diffondere le tecnologie digitali, a partire dai Digital Innovation Hub, e superare i timori che le novità molto spesso comportano. Ma è una sfida che può e deve essere vinta». Giulio Pedrollo la traduce in numeri:«Le stime previste dal governo possono essere superate: con Industria 4.0 si potrebbe arrivare ad un punto di pil aggiuntivo a mano a mano che si implementerano le misure decise dal governo. Fin quando non vedrò una crescita oltre il 2% non sarò contento».

La partenza è con il piede giusto: «l’industria sta tornando al centro. Dopo decenni di assenza con Industria 4.0 si comincia a delineare una politica industriale per il paese: è la strada per recuperare i punti di pil e di produzione persi con la crisi e anche per superare in curva altri paesi concorrenti. Come Confindustria abbiamo spinto molto ed il governo ha recepito le nostre richieste di una politica di medio termine, con misure automatiche e orizzontali, che agiscono sui fattori».

INVESTIMENTI INNOVATIVI
Impegno cumulato 2017-2020. In miliardi di euro

Pedrollo, nel suo ruolo di vice presidente per la Politica Industriale di Confindustria, ha seguito passo passo la gestazione di Industria 4.0 ed ora è impegnato affinché si traduca in un vero cambiamento innovativo del mondo imprenditoriale. Ci sono già una serie di novità al nastro di partenza, annuncia Pedrollo, che fa parte della Cabina di regia istituita dal governo su Industria 4.0, prima fra tutte il progetto dei Digital Innovation Hub.

Dovrà essere questo organismo il punto di riferimento delle imprese sul territorio: come si articolerà?

Ci è stato chiesto come Confindustria di guidare la costituzione di questi attori dell’innovazione. Sarà un soggetto autonomo, sotto forma di consorzio o di rete, che sarà in relazione con i poli tecnologici, le università, gli altri centri di innovazione. Dovrà essere in grado di fornire servizi ad alto valore aggiunto, in particolare alle pmi, dare informazioni su come attingere ai finanziamenti, sostenere la formazione di manager e operatori. Con un linguaggio semplice, che possa far superare le eventuali comprensibili paure. Pensiamo a soggetti regionali, con diramazioni territoriali, per essere vicini alle aziende e contemporaneamente avere sufficiente massa critica. Inoltre è stato deciso di individuare dentro il sistema di Confindustria un imprenditore che avrà il compito di supervisione e di coordinamento dei Digital Innovation Hub, che dovranno tutti essere realizzati entro il 2017.

Come si presenta l’industria italiana davanti a questa rivoluzione?

Dai road show che stiamo facendo come Confindustria, insieme a Confindustria digitale, le aziende hanno voglia di mettersi in gioco. Certo, c’è chi è più indietro. Ma proprio per mettere quante più imprese possibili in condizioni di diventare 4.0, abbiamo individuato un kit informativo e messo a punto un check up da realizzare in rete, dal quale emerge un rating, importante per consentire all’impresa di acquisire la consapevolezza del proprio stato. Inoltre dal 2017, e per il futuro, i 25 gli stagisti che Confindustria ha in programma di inserire nelle associazioni saranno finalizzati a rafforzare le competenze sull’innovazione tecnologica, per dare un migliore servizio alle imprese.

Ha percepito la volontà di investire?

Il coraggio deriva dalla visione. Questo progetto di medio termine che è Industria 4.0 offre agli imprenditori un’idea di futuro. Stando ai dati, i macchinari delle aziende italiane non sono mai stati così obsoleti. C’è la chance per il paese di agganciare la crescita: dipende dallo scatto di orgoglio degli imprenditori e dalla qualità degli investimenti, che devono essere mirati. C’è un aspetto che vorrei sottolineare: il mondo richiede velocità, competitività e flessibilità. Industria 4.0 consente alle imprese di essere veloci, competitive e flessibili: è la medicina giusta per il malato Italia.

Le nostre aziende sono mediamente più piccole rispetto ad altri paesi, primo la Germania. Ed hanno anche una minore produttività. Pesano questi handicap?

Industria 4.0 può essere la soluzione. È vero, le nostre imprese sono piccole e devono crescere: grazie all’innovazione digitale possono connettersi e superare il limite della dimensione. Inoltre per vincere sui mercati è necessario unire al prodotto il servizio: il digitale dà questa possibilità. Aggiungere il servizio come valore aggiunto, per individuare meglio i mercati, anticipare le esigenze dei clienti. Con i big data si può avere un orientamento preciso su cosa vuole il mercato, un modo per orientare in modo mirato la creatività italiana. Inoltre digitalizzare processi e prodotti è un modo efficace per combattere la contraffazione.

C’è il problema della bassa produttività...

Anche qui, l’innvazione digitale è un modo per aumentare la produttività. Si rendono più snelli i processi, ma non solo: l’inserimento per esempio di robot 4.0, che possono sostituire il lavoro manuale, favorisce il ritorno in Italia di produzioni andate all’estero. L’innovazione e la digitalizzazione riducono i costi e non comportano, come si potrebbe pensare, una riduzione del lavoro: c’è bisogno di maggiore assistenza, di programmazione. Insomma, con Industria 4.0 aumentano produttività e qualità. Le relazioni industriali devono tenere conto di questi cambiamenti, devono puntare ad aumentare la formazione, la produttività, la competitività. Serve grande attenzione a tutto ciò che accade in azienda.

Domenica si terrà il referendum: l’esito eventualmente negativo peserà sulla fiducia o sulla predisposizione ad investire?

La sfida di Industria 4.0 si è messa in moto. Per noi il sì è 4.0, bisogna realizzare le riforme per modernizzare e innovare il paese. Ma anche se vincesse il no le aziende non si fermeranno: l’imprenditore per sua natura guarda al futuro, pensa a creare ricchezza e occupazione. E si andrà avanti.

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