Economia

La stabilità finanziaria è strategica per la svolta

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L'Analisi|il caso ilva e l’industria

La stabilità finanziaria è strategica per la svolta

Un bel giorno per Taranto. Per i suoi bambini e i suoi operai. Per i suoi vecchi e i suoi piccoli imprenditori. La voragine finanziaria è circoscritta. Il buco nero, in grado di trasformare un disastro industriale in una autentica rovina, è depotenziato nella sua carica distruttrice. Gli storici che fra vent’anni studieranno il caso dell’Ilva potranno fissare un prima e un dopo nella sciagurata vicenda di Taranto.

La somma di 1,173 miliardi di euro che dalla Svizzera – previo passaggio su una banca milanese – affluirà a Taranto rappresenta la chemioterapia omeopatica con cui curare il martoriato tessuto ambientale della città e con cui ricomporre uno dei maggiori organismi manifatturieri europei. La scelta di definire un accordo di sistema – realizzato attraverso la tecnica giudiziaria del patteggiamento – restituisce razionalità a un quadro che, in questi quattro anni, ha avuto poco o nulla di razionale. I Riva rinunciano ai soldi sequestrati in Svizzera e a ogni ipotesi di rivalsa legata ai procedimenti in corso e sembrano nella sostanza uscire dal loro perimetro civilistico, amministrativo e societario. E mettono al riparo la loro attività nei forni elettrici che rischiava di essere inghiottita dai mille rivoli della vicenda Ilva.

Il mosaico che si va componendo non potrà non contemplare anche i filoni penalistici, che se non fossero coinvolti in una operazione simile costituirebbero una bomba potenziale – fatta di sequestri e di confische – in grado di fare saltare tutti i delicati equilibri che sono stati rivelati ieri in tarda serata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e che gradualmente, nelle loro complessità ancora tutte da decrittare, stanno venendo alla luce in queste ore.

Il primo risultato è, appunto, di stabilizzazione finanziaria: al di là della maggiore o minore liquidità di questa somma – non tutto è cash, dunque immediatamente fruibile, e comunque serve un passaggio non scontato nella sua rapidità dalle banche svizzere a quelle italiane – si tratta della leva reale a lungo cercata per riuscire a realizzare la doppia metamorfosi – ambientale e industriale – di Taranto e della sua acciaieria. Inoltre, non potranno non stemperarsi le tensioni con Bruxelles sulle ipotesi di aiuto di Stato, dato che con questi soldi “privati” non sarà necessario ricorrere a fondi più o meno pubblici.

Il secondo risultato è di natura strategica: a questo punto la scelta del nuovo proprietario, che dovrebbe essere fatta dal Governo a inizio anno, appare un passaggio segnato da una minore drammaticità, perché la magnitudo finanziaria è coperta dai famigerati “soldi dei Riva”. Non è una cosa da poco. Chi si insedierà a Taranto – nelle due distinte opzioni della cordata incentrata su Arvedi e della cordata incentrata su Arcelor Mittal – potrà concentrare le proprie risorse sul progetto, che dal giorno in cui affluiranno effettivamente i soldi a Taranto avrà il suo tempo zero. E, a quel punto, sarà possibile gestire nella quotidiana operativa il recupero di efficienza gestionale, così da trovare un punto di equilibrio con la crescita dei volumi che si è verificata negli ultimi mesi.

Dunque, un bel giorno per Taranto. La rinascità non è dietro l’angolo. Ma l’”etiam periere ruinae” – sono morte perfino le rovine – appare scongiurato.

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