Fiaccate dalla crisi economica, le province italiane accusano una progressiva perdita di competitività. Fenomeno che si fa sentire al Sud, dove ha quasi distrutto il mercato del lavoro e il tessuto imprenditoriale, ma che sta colpendo anche aree tradizionalmente dinamiche come il Nordest, dove emerge un costante rallentamento della produttività, determinato dalle difficoltà delle piccole e medie imprese, indebitate per la crisi e spesso non in condizione di affrontare l'innovazione di processo e prodotto che ne migliorerebbe le performance.
È il quadro, decisamente poco positivo, che emerge dal sesto Rapporto sulla competitività delle aree urbane 2016, l’annuale studio elaborato da Sinloc (Sistema iniziative locali), società di consulenza e investimento che promuove iniziative di sviluppo sul territorio italiano, studio elaborato con la collaborazione del centro di ricerca interuniversitario sull’economia pubblica Criep, della fondazione studi sulla multietnicità Ismu e di Siti, l’istituto superiore sui sistemi territoriali per l’innovazione.
«Dal Rapporto - ha sottolineato Antonio Rigon, amministratore delegato di Sinloc - emerge una tendenza importante come l’indebolimento di alcune aree del Nord, con difficoltà non solo congiunturali».
Il rapporto fotografa e analizza la situazione dei singoli territori del Paese da più punti di vista: economico, demografico, urbanistico e ambientale. A minare la competitività dei territori è anzitutto il forte calo demografico, oramai divenuto emergenza: in Italia risiedono 60,66 milioni di persone, di cui più di 5 milioni di stranieri. Nel 2015 il numero dei residenti è sceso di 130mila unità, dato peggiore degli ultimi 90 anni. Le nascite sono state 8 ogni mille abitanti, 486mila, il minimo storico dall’Unità d’Italia. Di questi, 72mila bambini sono nati da genitori stranieri, dato comunque in calo da oramai due anni.
I decessi sono stati 648mila, 50mila più dell’anno precedente, il più alto tasso di mortalità dal secondo dopoguerra. Il tasso di natalità è il più basso tra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Tra le provincie con il saldo naturale maggiormente negativo Trieste, Alessandria e Ferrara. I 50mila decessi in più si concentrano, invece, maggiormente a Genova, Savona, Ferrara e Biella. I dati relativi ai primi sei mesi del 2016 non sono migliorati: c’è un ulteriore calo del 6% rispetto allo stesso periodo del 2015.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, le migliori province sono Bolzano, Parma, Monza-Brianza, Firenze e Verona. Bolzano è al primo posto anche per l’occupazione giovanile, seguita da Sondrio, Prato Cuneo e Lecco. Il rapporto evidenzia un altro fenomeno che condiziona l’attrattività dei territori: c’è un costante e inarrestabile spopolamento dei centri minori, soprattutto quelli con meno di 5mila residenti, nei quali vivono oggi più di dieci milioni di abitanti, con conseguenti impatti sociali, economici e ambientali, ed è sempre più evidente la fragilità delle periferie dei grandi centri urbani.
Legata a questi fenomeni è anche la dispersione scolastica: aumentano gli abbandoni durante la scuola media, ma anche la scuola superiore; aumentano i Neet, i giovani che non lavorano né studiano, soprattutto nelle città più industrializzate del Nord. I laureati sono ancora troppo pochi – il 26% della popolazione, a fronte di un obiettivo suggerito dal programma europeo 2020 che chiede di raggiungere nei prossimi 4 anni il 40% - e, dato preoccupante, ci sono sempre più giovani che emigrano (100mila cancellazioni all’anagrafe nel corso del 2015).
Questo quadro non è figlio solamente della crisi degli ultimi anni. È in atto in Italia un trend di decrescita di competitività anche sulla scia di una costante perdita di produttività che dura dal 1995. Aree come la Liguria, parte del Piemonte e dell’Alta Toscana risentono di fenomeni, come l’invecchiamento, che le rendono strutturalmente deboli. Il Sud continua a registrare empasse su molti fronti, anche se c’è una certa vivacità sul fronte dell’imprenditoria giovanile e femminile.
È, invece, l’area del Triveneto a destare preoccupazione. Quella che era la locomotiva d’Italia sembra andare verso una involuzione simile a quella dei territori del Sud: emigrano i giovani, emigra capitale intellettuale, emigra capitale imprenditoriale, se ne vanno giovani donne che portano all’estero il tasso di natalità, si indebilisce la capacità progettuale e di cooperazione tra le istituzioni. Che fare? «Bisogna avere università attrattive e competitive – spiega Rigon – aumentare la qualità della vita e la sicurezza, orientare i flussi migratori, valorizzare il capitale della cultura, del turismo e il patrimonio imobiliare, valorizzare le risorse ambientali. E sostituire i distretti con le reti».
Una nota positiva arriva dall’Emilia Romagna, territorio più attrattivo e dinamico: qui c’è maggiore capacità di ricambio generazionale e le Pmi hanno saputo riprendersi molto bene.
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