La trasformazione del modello operativo del gruppo UniCredit dovrà passare da una nuova riduzione dei dipendenti. A livello globale saranno 6.500, di cui 3.900 in Italia. Il piano “Transform 2019”, illustrato questa mattina dal management della banca ai sindacati in una conference call, prevede, come si legge nel documento inviato ai rappresentanti dei lavoratori, altri 6.500 esuberi netti entro il 2019, per una riduzione totale netta degli Fte (full time equivalent) di circa 14mila unità entro il 2019. Il risparmio dei costi per il personale, dato da questo ulteriore taglio che arriva dopo le quasi 6mila uscite concordate con il sindacato nel biennio precedente, sarà di 1,1 miliardi di euro. Un’ulteriore riduzione degli altri costi operativi di 600 milioni di euro permetterà al gruppo di ottenere un risparmio sui costi ricorrenti annui totali netti pari a 1,7 miliardi di euro, ottenendo una base di costi di circa 10,6 miliardi di euro nel 2019, in discesa quindi rispetto ai 12,2 miliardi nel 2015. La maggior parte dei risparmi dovrebbe arrivare, secondo le previsioni della banca, nei primi 24 mesi.
Secondo quanto i manager del gruppo hanno spiegato ai sindacati, il nuovo modello operativo punta ad accrescere l’attenzione al cliente semplificando e migliorando l’efficienza del gruppo. L’obiettivo è di avere una base di costi sostenibile e più bassa avvalendosi della digitalizzazione come strumento di tale trasformazione. Tra le iniziative più importanti c’è la ripianificazione dei processi end to end, abbassando i costi operativi facendo leva sulle operazioni globali e sullo sviluppo delle economie di scala. Inoltre i bancari di UniCredit si concentreranno di più sul cliente con maggiore attenzione alla customer experience, alla standardizzazione del prodotto e a maggiori attività one to one. Infine verranno investiti 1,6 miliardi di euro per la trasformazione delle attività e per rafforzare l’infrastruttura informatica attraverso la adigitalizzazione, lo sviluppo tecnologico di sistemi core e il continuo aggiornamento dell’infrastruttura, assicurando l’allineamento della compliance con i requisiti normativi.
Nel sindacato c’è grande preoccupazione, soprattutto perché il piano arriva a breve distanza da due accordi sindacali che hanno portato all’uscita di quasi 6mila bancari (con uscite ancora da effettuare entro il 2018). Complessivamente,comprendendo anche gli ulteriori 3.900 esuberi, dal 2015 si calcola una riduzione di oltre il 20% del personale. Non manca anche una certa dose di delusione tra tutte le sigle per la riproposizione della ricetta dei tagli. Il sindacato chiede il rispetto degli impegni presi e la chiusura degli accordi di secondo livello su cui i tavoli negoziali sono ancora aperti. «Non possiamo fare soltanto accordi per fare uscire la gente, bisogna pensare anche a chi resta e alle condizioni di lavoro in cui si troverà», osserva Elena Aiazzi, segretario nazionale della Fisac Cgil. «Ci batteremo affinché gli esuberi dichiarati, la cui congruità è tutta da verificare, siano gestiti solo su base volontaria e attraverso il nostro ammortizzatore sociale di settore, con le massime garanzie per i lavoratori interessati. Qualsiasi tentativo aziendale di rendere le uscite obbligatorie e di far pagare i costi della ristrutturazione ai dipendenti che restano in servizio sarà contrastato duramente», dice Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi. La strategia del piano Transform 2019 per Morelli non ha molto di innovativo. «Ci saremmo aspettati che il rilancio passasse attraverso una riorganizzazione realmente innovativa della rete e la valorizzazione dei lavoratori, fondamentali per garantire un futuro al gruppo, invece ancora una volta ci troviamo di fronte a un piano, con una forte spinta sul digitale che rischia di portare l'istituto lontano da una grossa fetta di clientela e dalle economie dei territori». Il segretario generale della First Cisl, Giulio Romani, dice che adesso «la vera sfida è coinvolgere il personale nell’organizzazione del lavoro. Se è questa la prospettiva, il sindacato farà la sua parte nel definire forme di partecipazione innovative. Quanto ai sacrifici, chi ha le responsabilità maggiori sul destino dell’azienda deve dare il buon esempio. Ci auguriamo – aggiunge Romani - che il nuovo piano sia in grado di tornare a offrire a tutti gli stakeholder di UniCredit, a partire dai lavoratori, un progetto convincente di sviluppo e di crescita, all’altezza delle sfide dei tempi e delle potenzialità di questa banca. Semmai a preoccuparci è la copertura finanziaria delle uscite previste». Aiazzi dice che «è un piano industriale fortemente incentrato sul rafforzamentro patrimoniale e sull’efficientamento organizzativo, al fine di intervenire sul nodo più importante dei crediti deteriorati e per rendere più avanzato tecnologicamente l’intero gruppo. Quello che ci preoccupa e ci lascia interdetti è sia l’ambito della produttività lato ricavi, perché il piano non aggiunge niente di nuovo, sia l’insistenza sul recupero dei costi del personale. Questo ci preoccupa sia per le soluzioni che troveremo e che devono essere con uscite volontarie e per come lavoreranno coloro che rimangono e dovranno portare avanti la nuova azienda». La Uilca di Massimo Masi chiede «con questa riduzione del personale e la chiusura di ulteriori filiali, come affronterà UniCredit la gestione delle problematicità della clientela, già oggi in estrema sofferenza”? » e fa notare che «il piano industriale presentato è molto peggio rispetto a quello che ci aspettavamo. Se è vero quello che ha dichiarato l’amministratore delegato Mustier, che ora stanno pagando gli errori ereditati dalla vecchia gestione, come Uilca chiediamo le dimissioni di tutti coloro che hanno gestito i precedenti Cda o che hanno ricoperto ruoli di responsabilità, avallando i precedenti piani industriali e che sono attualmente in carica. Chiediamo inoltre che Mustier abbia il coraggio di rivalersi nei loro confronti».
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