Bisogna risalire al 2008 per trovare volumi produttivi più alti di quelli messi a segno quest’anno dall’industria italiana delle piastrelle. Il +4,6% delle vendite complessive del 2016 riporta infatti il made in Italy ceramico sopra quota 415 milioni di metri quadrati e a prospettive di consolidamento ulteriori nei prossimi due anni sullo scacchiere globale, grazie all’indebolirsi della concorrenza cinese nel mercato delle commodities e al rafforzamento della domanda interna.
Sono alcuni dei numeri snocciolati ieri dal presidente di Confindustria Ceramica, Vittorio Borelli, in occasione del convegno di fine anno per fare il punto su una manifattura di tradizione in cui l’Italia – e il distretto di Sassuolo in particolare – è benchmark indiscusso su scala mondiale per qualità, design, innovazione nonché terzo Paese esportatore, dietro a Cina e Spagna, con un giro d’affari che supera i 5,3 miliardi di fatturato, per l’85% legato all’export. «Dopo dieci anni di costante flessione – sottolinea Borelli – chiudiamo finalmente il 2016 con un aumento delle vendite in Italia del +5,5 per cento. Non possiamo certo brindare a 85 milioni di mq venduti in patria, perché erano oltre 180 prima della crisi, ma il dato conferma la nostra previsione che il punto più basso è stato toccato e ora possiamo solo risalire».
Continua intanto a crescere l’export (+4,4% a 331 milioni di mq, sono le stime del centro studi di Confindustria Ceramica e Prometeia), seppure in rallentamento rispetto a inizio anno a causa del contesto geopolitico internazionale sempre più incerto, in linea comunque con il trend mondiale (+4%). A correre sopra la media sono le vendite nei Paesi Nafta (+5%), del Golfo e dei Balcani (+4,7%), mentre cala ancora la Russia (-10%) seppur meno di quanto accaduto negli ultimi anni.
«Stiamo raccogliendo i frutti dei forti investimenti degli ultimi anni – il presidente ricorda il +23% di investimenti del 2015 e il +27% dell’anno prima– che ci hanno permesso di non essere fagocitati dai competitor stranieri e che si riflettono in un miglioramento complessivo degli indici finanziari». L’indagine Bper sui bilanci di 64 imprese italiane di piastrelle (un campione che rappresenta il 73% del fatturato realizzato dalle 150 aziende attive nel Paese, per oltre l’80% concentrate nel distretto modenese-reggiano) conferma infatti un netto miglioramento dei margini (Ebitda al 13,4%) e una redditività capace di generare un buon flusso di cassa e di migliorare i livelli di capitalizzazione.
Positive sono anche le previsioni per l’anno alle porte. «Credo che un trend attorno al 5% sia verosimile anche per il 2017 – spiega Borelli – tra il rafforzamento del dollaro che ci facilita nelle esportazioni, anche se in parte ci penalizza per il costo dell’energia, il prolungamento del quantitative easing e il piano Industria 4.0 che lascia presagire un altro anno di forti investimenti in tecnologie. fare impresa in Italia è tutt’altro che facile, ma l’anello debole resta l’Europa e la mancata difesa della manifattura comunitaria». La recente decisione di Bruxelles di non riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina ha incassato ovviamente il plauso dell’industria ceramica, «ma la stessa Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento per la definizione dei dazi antidumping meno stringente del passato e questo ci preoccupa», spiega Borelli. Che auspica un intervento “amico” da parte del Parlamento europeo.
Altro rischio alle porte per l’industria di piastrelle è legato al sistema delle emission trading, «che invece di produrre risultati concreti in termini di impatto ambientale sta zavorrando di burocrazia il settore con un mercanteggiare di titoli che produce costi e non benefici e mina la nostra competitività globale», conclude il presidente.
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