Economia

Più grano italiano per Barilla

  • Abbonati
  • Accedi
MADE IN ITALY

Più grano italiano per Barilla

BLOOMBERG
BLOOMBERG

È più di vent’anni che Barilla firma contratti di coltivazione con gli agricoltori del Paese, ma è la prima volta che ci vincoliamo con accordi triennali (non più annuali) che ci impegnano ad aumentare del 40% i volumi acquistati di “grano duro sostenibile” italiano di alta qualità, da qui al 2019, a fronte di un investimento per il gruppo di circa 240 milioni di euro nei tre anni». Ha una portata senza precedenti l’intesa firmata ieri a Bologna dal colosso alimentare di Parma con Regione Emilia-Romagna e l’intera filiera produttiva (tra consorzi agrari, Op agricole e Società produttori sementi), sottolinea Luigi Ganazzoli, responsabile Acquisti del gruppo Barilla.

L’intesa raggiunta sulla via Emilia, con 120mila tonnellate di grano duro contrattualizzate l’anno (circa 20mila ettari di campi, un terzo della produzione regionale) fa da apripista a un accordo su scala nazionale che impegna Barilla ad acquistare nelle prossime tre campagne agrarie 900mila tonnellate di grano duro italiano. Un piano che coinvolge oltre 50 fornitori, pari a circa 5mila imprese agricole e 65mila ettari di terreni (il 6% delle coltivazioni nazionali) tra Emilia, Lombardia, Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania e Puglia.

Gli imprenditori agricoli, grazie al patto con Barilla, si assicurano non solo contro la volatilità dei prezzi di una commodity, ma portano a casa anche un 25% in più di redditività rispetto ai contratti standard e grazie all’estensione triennale del contratto possono ora accedere ai 10 milioni di euro di contributi governativi riservati a chi sottoscrive intese pluriennali di filiera con gli utilizzatori di materia prima. Dal canto suo Barilla riduce la dipendenza dal grano estero e attraverso l’applicazione di disciplinari di coltivazione ha la certezza di ricevere un grano duro (Aureo, Svevo, Pigreco) di qualità elevata per produrre pasta buona e sempre al dente.

«L'Emilia-Romagna è una regione all’avanguardia nel dialogo tra agricoltura e industria – commenta Ganazzoli – ed è per noi un bacino fondamentale per l’acquisto di grano duro di qualità. Questo è l’undicesimo anno che sigliamo in regione contratti di coltivazione sostenibile e in questi dieci anni la quantità acquistata è addirittura quadruplicata. Noi riconosciamo incentivi per la qualità di un 10-15% in più rispetto al prezzo medio del grano e agli agricoltori chiediamo il rispetto di un decalogo di tecniche agronomiche che permettono enormi benefici ambientali: si riesce a ridurre del 35% le emissioni di anidride carbonica rispetto alle produzioni tradizionali, nonché a fare minor utilizzo di fertilizzanti e di acqua, tagliando i costi fino al 30% ottenendo per contro maggiori rese e guadagni netti per ettaro di circa 20 punti più alti».

Il piano per il grano duro di alta qualità rientra nell’impegno generale di Barilla per fare impresa in modo sostenibile, che si allarga anche ad altre filiere agricole come pomodoro, zucchero, uova, latte. «In momenti economici come l’attuale – afferma Ganazzoli – è molto difficile trasferire questo plusvalore sul consumatore, ma qualità e sostenibilità sono driver irrinunciabili della filosofia Barilla».

Anche per questo non va giù al colosso alimentare di Parma il prossimo decreto sull’etichettatura della pasta dell’origine del grano duro, «perché nella sua versione attuale confonde in consumatore e compromette anziché rafforzare la competitività della filiera made in Italy», sostiene Luca Virginio, responsabile Comunicazione Barilla –. L’origine da sola non è sinonimo di qualità. Inoltre, non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano con gli standard richiesti dai pastai. A svantaggio del consumatore, che potrebbe addirittura arrivare a pagare di più una pasta meno buona, e dell’industria della pasta, che con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato, soprattutto all'estero».

© Riproduzione riservata