La riconversione a gas dell’Ilva di Taranto si può fare ma ci sono due elementi da considerare con attenzione: i costi, che solo per la gestione salirebbero di un centinaio di milioni, e la procedura di gara per la cessione dell’azienda che si avvia ormai alla fase finale. L’analisi è dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, il cui presidente, Federico Testa, è intervenuto a Bari per un convegno sul tema «NextEnergia» con focus sulle rinnovabili e la decarbonizzazione del siderurgico promosso da «Nextlaw Avvocati».
«L’Ilva è in fase di vendita, stanno per essere presentate le offerte vincolanti da parte degli investitori interessati, e introdurre adesso elementi nuovi in un percorso già delineato significa correre il rischio di inchiodare tutto per chissà quanto tempo», dichiara Testa.
L’Enea, quando il tema della decarbonizzazione dell’Ilva è diventato più evidente, ha anche incaricato i suoi tecnologici per un approfondimento specifico (la Regione Puglia, in proposito, ha compiuto anche uno studio che prevede una totale riconversione a gas del siderurgico con due impianti da 2,5 milioni di tonnellate ciascuno, 1,2 miliardi di investimento, e 18 mesi di lavori). L’Enea, in sostanza, voleva capire se l’idea stava tecnicamente in piedi o meno. Il responso dei tecnici è stato favorevole ma è venuto fuori che i costi di gestione, stimati quando il prezzo del petrolio era di 40 dollari al barile mentre oggi è risalito, crescevano in modo significativo: appunto di qualche centinaio di milioni di euro. Senza poi trascurare altri due elementi: che la riconversione a gas spinge a dover fermare per un periodo non breve l’acciaieria – e questo costituisce un altro elemento di costo – e che oggi ci sono tecnologie che, pur non utilizzando il gas, permettono comunque di ridurre l’impatto inquinante e migliorare la sostenibilità ambientale della produzione dell’acciaio.
«Nel caso della decarbonizzazione dell’Ilva – afferma Federico Testa – bisogna analizzare tre aspetti. Ci sono una realizzabilità tecnica, una ambientale e una economica. Dal punto di vista della sostenibilità ambientale nessun dubbio: si può usare una fonte meno inquinante e questo è sempre auspicabile. Tecnicamente, inoltre, si può produrre l’acciaio non usando il carbone. C’è poi il terzo fattore, quello economico: allo stato attuale delle tecnologie, produrre acciaio senza usare il carbone ma utilizzando altre materie prime costa molto. Il tema – aggiunge Testa – deve allora essere preso in carico dalla politica per capire se le centinaia di milioni di euro che servirebbero per quest’operazione devono essere allocate in questo progetto o utilizzate per altro. Un ulteriore elemento da valutare è quello dei tempi necessari per la riconversione, che potrebbero essere molto lunghi. Anche in questo caso è la politica che deve fare una valutazione nel merito dopo aver analizzato tutti gli aspetti necessari per prendere una decisione così importante».
Per Luca Clarizio, di «Nextlav Avvocati», «in una realtà come la Puglia leader nazionale nel fotovoltaico e nell’eolico, decarbonizzazione, efficientamento energetico del patrimonio immobiliare e revamping dei parchi eolici e fotovoltaici più vetusti per aumentarne l’efficienza produttiva, rappresentano step di buon senso nell’ambito di un’efficace politica energetica regionale per i prossimi anni».
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