Il progetto di riportare il Grande fiume a infrastruttura per il trasporto logistico ha il sapore di un sogno. Ma in un Paese che rischia infrazioni comunitarie per lo sforamento di polveri sottili e che fa viaggiare su gomma oltre il 90% dei tonnellaggi (e appena il 6% su rotaia) l’obiettivo di utilizzare il Po come idrovia è tutt'altro che scentrato e potrebbe diventare un’alternativa sostenibile non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico. Si inserisce in questa cornice la notizia che i lavori a Piacenza nella nuova conca di Isola Serafini sono ormai quasi completati (al 77%) ed entro fine anno il fiume sarà navigabile dal capoluogo emiliano fino a Chioggia.
L’occasione per fare il punto sugli interventi per la navigazione del Po è stata la visita di ieri nelle terre ducali di Julian Espina, project officer della Commissione europea, che ha co-finanziato il 20% (9,3 milioni) dei 46,4 milioni di euro di investimento per potenziare lo snodo piacentino, nell’ambito del progetto «Iniwas. Miglioramento del sistema idroviario del Nord Italia», dopo che l’Ue ha inserito il Grande fiume e i suoi canali tra i dieci corridoi chiave della rete transeuropea dei trasporti 2014-2020.
«I cantieri di costruzione della conca di Isola Serafini sono il grosso di un progetto da oltre 56 milioni di euro che ci ha permesso di eliminare altri colli di bottiglia sull'idrovia padana: a Porto Levante nel Rodigino e lungo Canale Boicelli nel Ferrarese», precisa Ivano Galvani, che guida il settore Navigazione interna di Aipo, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, ente strumentale delle quattro principali regioni del bacino fluviale (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) . E annuncia: «A fine anno il Po sarà navigabile da Piacenza a Chioggia secondo gli standard europei classe V, cioè da imbarcazioni lunghe 100 metri e larghe 11 capaci di portare 1.500 tonnellate di merci, l'equivalente di una cinquantina di tir».
Ma il fatto che il corso del fiume si avvicini sempre più ai requisiti europei di navigazione non basta per pensare di avvicinare l’Italia, con il suo 0,1% di merci trasportate via fiume, ai parametri medi europei (10%). «Mancano le infrastrutture portuali e manca ancor di più un’industria logistica che creda nell'investimento necessario per collegare operativamente Milano e il delta del Po via acqua», nota Galvani, ricordando che solo Cremona, Mantova, Boretto (Reggio Emilia) e Ferrara hanno banchine portuali e che oggi appena 300mila tonnellate di merci viaggiano sul fiume, quando erano un milione di tonnellate fino alla fine degli anni Novanta.
Eppure in una giornata merci ingombranti e non deperibili come sfarinati, inerti, fertilizzanti, potrebbero viaggiare “slow” (24 ore) e “low impact” dal porto di Chioggia alla Lombardia. «Si calcola che per mettere in funzione l'intera rete e renderla efficiente dal punto di vista logistico e industriale servirebbero 500-600 milioni di euro, una cifra non spropositata se manifattura, trasporti e istituzioni del Nord Italia ci credessero. Il punto è che non ci dobbiamo inventare nulla, questa strada su acqua già c’è», conclude il dirigente Aipo. Che invece fa i conti con poco più di 12 milioni di euro l'anno per la manutenzione e la gestione dei 700 chilometri del Grande fiume e relativi canali, in un bacino di circa 74mila kmq dove vivono 16 milioni di italiani.
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