
In Cina “galoppa”. In Russia e Brasile arranca: In India è appena una comparsa.
È un ritratto in chiaro-scuro quello delineato da Wine Monitor di Nomisma, nell’ultimo Report dedicato alle esportazioni di vino (sia internazionale che di “Made in Italy”) nei Bric, dove emerge un Italia che fa meglio dei competitor in Cina ma che vede diminuire la propria quota di mercato in Russia e Brasile. E in uno scenario di mercato globale dove si alternano luci ed ombre, anche Brasile, Russia, India e Cina procedono in ordine sparso.
Il trend internazionale
Se infatti la Cina ha messo a segno nel 2016 una crescita nei valori di import superiore al 16% rispetto all’anno precedente, la Russia appare ancora sofferente viaggiando sul filo dell’”invarianza” (o poco sotto), mentre il Brasile ha chiuso l’anno appena terminato con un leggero segno negativo a valore (-3%) ma in crescita sul fronte dei volumi (+12%), alla luce di un calo nelle importazioni di vini di fascia premium (in particolare, lo Champagne, il cui import è diminuito di oltre il 40% in quantità solo nell’ultimo anno, ma quasi del 70% rispetto a cinque anni fa). Completa il quadro l’India, che continua a rimanere un mercato “marginale”, con meno di 20 milioni di euro di vino importato (a cui corrispondono poco più di 41 mila ettolitri).
«Alla base di queste diversità nel trend delle importazioni di vino risiedono soprattutto fattori macroeconomici – ha dichiarato Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma –. Russia e Brasile hanno chiuso il 2016 con un Pil in calo per il secondo anno consecutivo e valute locali – Rublo e Real – risultano ancora sensibilmente svalutate. Senza tralasciare poi il fardello dei dazi all’entrata che, nel caso dell’India, mediamente si attestano sul 150% del prezzo all’import». Complice il calo del prezzo del petrolio – che rappresenta la principale voce dell’export del Paese – iniziato nel 2014, la Russia, da allora, ha ridotto gli acquisti di vino dall’estero, arrivando ad importare quasi il 20% dei volumi in meno. Nel caso del Brasile, l’ultimo quinquennio non evidenzia variazioni così rilevanti ma sottende un mercato che, tra alti e bassi, si posiziona ormai da cinque anni in un range compreso tra gli 800 e 900 mila ettolitri di vino importato.
Il vino italiano nei Bric
E in questo scenario, che ruolo gioca il vino italiano? Nel 2016, l’Italia ha messo a segno in Cina la crescita a valore più elevata di tutti i principali competitor, arrivando ad un +39% nel segmento dei vini fermi imbottigliati che, nel mercato in questione rappresentano quasi il 93% delle importazioni totali.
Una performance di tutto rispetto, considerando la media del totale di categoria (+17%) e quelle dei diretti concorrenti come Spagna (+27%), Australia e Cile (24%) o del leader di mercato (Francia, +12%). Al contrario, in Russia è stata la Spagna a registrare la crescita più rilevante (oltre 15%), così come in Brasile sono stati i cileni – forti anche degli accordi di libero scambio che riguardano gli Stati aderenti al Mercosur – a consolidare la propria leadership nelle importazioni di vini in questo mercato attraverso un aumento del 14 per cento.
Complessivamente parlando, le prospettive per i Bric per l’anno appena iniziato dovrebbero essere positive. Il recupero (o l’ulteriore crescita) nell’import di vino potrebbero trovare supporto in un quadro macroeconomico più favorevole, a sua volta legato ad una ripresa nei prezzi delle commodity (petrolio ma anche minerali e derrate agricole) e ad un rafforzamento delle valute nazionali. Anche se su tutto aleggia l’imprevedibilità delle politiche che il presidente statunitense, Donald Trump, e dalle quali discende necessariamente un potenziale rafforzamento del dollaro e un “rischio protezionismo”. Eventi che giocherebbero a sfavore di questo possibile recupero.
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