«L’utilizzo del gas in siderurgia in sostituzione del carbone non è una chimera o una fantasia irrealizzabile. È una realtà tecnologica e industriale che applichiamo da tempo nelle nostre acciaierie in India. Se ci aggiudicheremo l’Ilva con la compagine di AcciaItalia, sarà con il preridotto e altre soluzioni tecniche basate sul gas che faremo tornare blu il cielo e pulita l’aria di Taranto ed elimineremo sostanze nocive cancerogene come gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) che sono conseguenza dell’uso del carbone».
Sajjan Jindal, presidente di Jindal South West, parla per la prima volta in questo colloquio del dossier Ilva. Jindal, 57 anni, rivela il profilo di un investimento che è su tutto il Paese, oltre che sull’acciaieria in amministrazione straordinaria: «Per me è giusto parlare di Vision Italia. Non abbiamo mai compiuto un investimento in Europa. Lo vogliamo fare per la prima volta. Con questa operazione giochiamo in Europa e scommettiamo sull’Italia per l’esperienza che caratterizza le maestranze del settore manifatturiero italiano».
Ingegnere, l’affaire Ilva sembra non finire mai. Martedì un giudice di Milano si è pronunciato contro l’accordo di patteggiamento fra i Riva e la magistratura. Il che potrebbe bloccare gli 1,3 miliardi di euro della famiglia un tempo proprietaria, da destinare – in accordo con il Governo – ai lavori ambientali. Questa decisione vi potrebbe fare desistere dal partecipare all’asta?
La decisione della magistratura riguarda la struttura commissariale. Quei soldi non c’entrano con la nostra scelta di investire sull’Ilva. Andiamo avanti senza alcun problema. Le ragioni imprenditoriali che ci hanno spinto a entrare in AcciaItalia sono indipendenti dalla vicenda dei Riva.
Quali sono le ragioni industriali che vi hanno fatto avvicinare al dossier?
Prima di tutto la consapevolezza che l’Italia è uno dei maggiori mercati europei per l’acciaio, che ancora oggi ha un potenziale di 30 milioni di tonnellate annue ed è importatore netto di acciaio, soprattutto dei prodotti piani. L’Italia ha visto chiudere, o ridimensionare drasticamente, impianti storici che partono dal minerale come Cornigliano, Bagnoli e Piombino. È rimasto solo Taranto. Con l’Ilva noi vogliamo fare il nostro primo investimento in Europa. Vogliamo trasformarla nella maggiore acciaieria europea per volume e per profittabilità. E, attraverso l’utilizzo del gas, desideriamo farne il nuovo standard per il rispetto dell’ambiente in Europa in armonia con la diminuzione dei gas serra che è un obiettivo prioritario dell’Unione europea.
Lei cita il preridotto. In Italia, molti osservatori e industriali siderurgici hanno mostrato diffidenza e riluttanza, in particolare in merito alla sua sostenibilità economica e alla sua fattibilità logistico-organizzativa a Taranto. Che cosa vi spinge a predisporre un business plan incentrato proprio sul gas?
Chi è ostile al preridotto, è ostile perché non lo sa utilizzare e non lo sa implementare nelle acciaierie. Noi siamo il primo gruppo siderurgico indiano per volumi e redditività. Produciamo 18 milioni di tonnellate all’anno, 4 dei quali con la tecnologia del preridotto. E lo facciamo in un Paese, l’India, dove il gas costa di più e dove ci sono meno pipeline con cui approvvigionarsi rispetto all’Italia. Attraverso il preridotto e con la copertura totale dei parchi minerali, a Taranto sarà possibile abbattere drasticamente l’impatto ambientale dell’impianto siderurgico. L’effetto sarà dirompente per gli standard europei di produzione dell’acciaio. Per questo alcuni acciaieri criticano questa soluzione, per non doverla adottare anche loro, sostenendo i relativi investimenti, quando sarà chiaro che è realizzabile e redditizia.
Quanto pensate di investire e quali sono i vostri obiettivi industriali?
Pensiamo di investire una cifra significativa, nell’ordine di diversi miliardi di euro. L’obiettivo è arrivare, in un periodo compreso fra i tre e i cinque anni, a produrre fra i 10 e i 12 milioni di tonnellate all’anno. Sei milioni di tonnellate con le tecniche tradizionali e fra 4 e 6 milioni di tonnellate prodotte con tecniche alternative, fra cui l’utilizzo diretto del gas nel processo produttivo, il preridotto e il forno elettrico ad arco che consentirebbe di dare maggiore flessibilità ai livelli produttivi. La flessibilità è un altro aspetto importante per riuscire a rispondere correttamente al variabile andamento della domanda che caratterizza il mercato siderurgico. In questo modo si possono garantire quei livelli occupazionali che sono una ricchezza sociale per il territorio, anche nelle industrie che costituiscono l’indotto di Ilva e che insieme ad Ilva devono conoscere un nuovo cammino di sviluppo.
Jindal South West è molto concentrata sul mercato interno indiano. Il vostro management è in grado di fornire un adeguato apporto tecnico e gestionale alla rinascita dell’Ilva?
Gli standard e le tecniche della siderurgia internazionale sono gli stessi ovunque. Alla nostra particolare vocazione al preridotto e alla sicurezza, si aggiungono le competenze tecnologiche che ci sono state trasferite, in fatto di salvaguardia dell’ambiente, dai nostri azionisti di minoranza, i giapponesi di JFE, che detengono il 15% del nostro capitale e hanno una grande cultura di qualità e di basso impatto ambientale. In questo cammino non saremo soli, insieme agli altri membri di AcciaItalia, faremo ripartire una grande acciaieria e cambieremo il volto di Taranto: sarà un connubio tra le nostre competenze e l’esperienza dei nostri soci italiani.
In AcciaItalia siete membri di una cordata composita.
Sì, per noi si tratta di un elemento qualificante. Noi, rispetto agli altri membri della cordata, non abbiamo nessun atteggiamento egemonico. Siamo felici, a fronte del 35% del capitale, di portare il nostro contributo con un investitore istituzionale come la Cassa Depositi e Prestiti, un industriale dell’acciaio di lungo corso quale Giovanni Arvedi e un grande imprenditore italiano come Leonardo Del Vecchio che ha saputo investire con grande successo in settori diversi puntando su progetti e manager qualificati. Siamo parte di una visione italiana. La Vision Italia di cui parlavo all’inizio del nostro colloquio. Ci consideriamo investitori di lungo termine. Se AcciaItalia si aggiudicasse l’Ilva, io prenderei casa in Italia e trascorrerei una parte significativa del tempo nel vostro Paese per seguire personalmente il rilancio dell’Ilva.
Lei cita la Vision Italia. Ha una passione – anche personale - per il nostro Paese: sua figlia Tanvi si è laureata in economia all’università di Firenze e si è sposata a Villa Le Rose, la magione quattrocentesca dei Ferragamo. Quale sarebbe la prima cosa che farebbe a Taranto?
Non abbiamo parlato con la comunità locale e non conosciamo ancora le loro esigenze. Di sicuro la priorità è la salute. Per il resto porterei a Taranto la filosofia che caratterizza la nostra attività in India. Dove abbiamo gli impianti, dialoghiamo molto con la comunità, contribuiamo alla sua crescita sociale, investiamo nella sanità, nello sport e nell’educazione dei giovani. A Taranto, per esempio, condivido il desiderio di Del Vecchio: finanziare e sostenere gli ospedali dedicati ai bimbi che hanno malattie dovute all’inquinamento.
Ingegner Jindal, a pochi giorni dalla consegna delle offerte economiche, quante probabilità pensa di avere di aggiudicarsi, con AcciaItalia, l’Ilva?
Preferisco non rispondere. Non soltanto perché l’asta è in corso. Ma anche perché io non sono né uno speculatore, né uno scommettitore, ho piena fiducia nelle competenze dei funzionari dello Stato che stanno gestendo la gara e grande rispetto per il lavoro che hanno saputo svolgere in una situazione assai difficile. Per noi l’Ilva rappresenterebbe l’unico investimento in Europa e quindi lo dovremmo sostenere, senza fermarci alla prima difficoltà o in seguito a mutamenti della congiuntura economica, perché sarà il nostro asset strategico sul mercato europeo. Io, all’investimento nell’Ilva e nel vostro Paese, credo profondamente. E, in caso di esito positivo dell’asta, io e il mio gruppo resteremo a lungo a Taranto e in Italia.
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