C’è un numero che forse più di altri sintetizza il primo anno di obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro introdotta nel 2015/2016 dalla riforma Renzi-Giannini: gli studenti del terzo anno degli istituti superiori che hanno svolto periodi di formazione “on the job” direttamente in azienda sono stati il 36,1% (vale dire poco più di un ragazzo su tre). Si è sfiorato il 50% negli istituti tecnici, il 60% nei professionali (dove il collegamento con il mondo delle imprese è strutturato da tempo nei rispettivi ordinamenti scolastici), mentre nei licei, al debutto lo scorso anno, la percentuale di alunni che hanno provato sul campo l’esperienza di studio e di “pratica” si è fermata al 20 per cento.
Una fetta consistente di studenti ha fatto alternanza nel proprio istituto (nella forma dell’impresa “simulata”), e poi, in enti pubblici, ordini professionali, biblioteche, asili nido, sindacati (in molti casi, però, senza un contatto diretto con il mondo produttivo).
Anche a livello territoriale, i numeri che il ministero dell’Istruzione ha raccolto nel focus «Alternanza scuola-lavoro» - si vedano le tabelle e i grafici qui accanto - parlano di una “rivoluzione” positiva, ma con luci e ombre: la stragrande maggioranza di imprenditori che hanno aperto le porte agli alunni è concentrata nelle regioni settentrionali (Lombardia, in testa, seguita da Veneto, Piemonte, Emilia Romagna); in Centro Italia, a spiccare sono soprattutto Toscana e Marche, mentre al Sud, mostra segnali di vitalità la Puglia.
Certo, l’obbligatorietà introdotta dalla legge 107 (almeno 400 ore di formazione pratica negli ultimi tre anni di tecnici e professionali, almeno 200 ore nei licei - con un finanziamento stabile di 100 milioni di euro l’anno) ha smosso qualcosa: i percorsi attivati a partire dalle classi terze sono stati quasi 30mila (29.437, per l’esattezza), e nell’82,5% dei casi con durata annuale. Complessivamente, la novità ha toccato nel 2015/2016 (direttamente o “indirettamente”) 652.641 alunni, pari al 45,8% del totale dei frequentanti le ultime tre classi delle superiori statali o paritarie (l’anno prima, senza l’obbligatorietà, i giovani in alternanza furono 273.111, rappresentando il 18,5% di tutti i giovani frequentanti). Quest’anno, sulla carta, la partecipazione salirà a 1,1 milioni (l’obbligo, a settembre, è scattato anche per le classi quarte), e a regime la quota di ragazzi interessati dalla formazione “on the job” salirà a 1,5 milioni (e se verrà approvato dal Parlamento il Dlgs di revisione degli esami di Stato l’alternanza avrà - finalmente - un peso più marcato, diventando un vero e proprio requisito d’ammissione alla maturità).
Il tema è fondamentale, e l’obiettivo, condiviso da tutti, istitutizioni e aziende, è quello di far decollare rapidamente il link scuola-lavoro, sulla falsariga del sistema duale tedesco (la Germania ha un tasso di disoccupazione giovanile stabile al 6,6% - in Italia si veleggia intorno al 40 per cento). I primi passi di questa «contaminazione», come la definisce il sottosegretario Gabriele Toccafondi, sono piuttosto incoraggianti, con diverse best practice in giro per l’Italia. Si va da progetti già collaudati, come «Traineeship» targato Federmeccanica (che aprirà le porte a 5mila studenti), alle iniziative di Eni, Enel (qui si utilizza l’apprendistato formativo), Poste Italiane, Ibm, Intesa San Paolo, Fca. Ma a emergere sono anche tantissimi casi di eccellenza “locali”: da «Campus Came», a Treviso, che “allena” i ragazzi nei campi dell’automazione e della domotica; a Brescia, con l’azienda Cotonella, nel settore moda; passando per Parma, con la Raytec Vision (macchine con sistemi ottici automatici), fino ad arrivare a Reggio Calabria (molto attiva è la cooperativa Fattoria della Piana) e Bari, con il pastificio Granoro, che collabora non solo con le scuole superiori, ma anche con l’università.
Del resto, «ormai è sdoganata l’idea dell’impresa solo pruduzione e catena di montaggio - ha sottolineato Maurizio Chiappa, preside dell’istituto tecnico Marconi di Dalmine (Bg) -. I ragazzi fanno esperienza non solo nei laboratori, ma anche in tanti uffici, dall’amministrazione al marketing, alle risorse umane. E quindi l’esperienza on the job è davvero appannaggio di tutti gli indirizzi delle scuole superiori». Il punto, piuttosto, è che ci sono ancora alcune criticità da rimuovere, ha aggiunto Chiappa: «Dalle visite mediche, alla sicurezza sui luoghi di lavoro, all’organizzazione pratica dell’alternanza, considerato che molte pmi segnalano difficoltà a districarsi tra gli adempimenti burocratici».
Un’esigenza quanto mai reale: anche perchè «gli imprenditori sono consapevoli del proprio ruolo sociale ed etico - ha spiegato il vice presidente per il Capitale umano di Confindustria, Giovanni Brugnoli -. E l’alternanza viene vista pertanto non come “scorciatoia” per avere lavoro a minor costo, ma come un investimento in innovazione di “cervelli” per mantenere competitive le nostre aziende con l’avvento di Industria 4.0».
In attesa, perciò, che il governo venga incontro alle necessità delle realtà produttive, valorizzandone anche l’impegno (il vice presidente Brugnoli, al Job&Orienta di Verona di fine novembre, aveva lanciato l’idea di un «bollino blu» per riconoscere qualità e impegno educativo delle imprese), una mano potrebbe arrivare anche dalle Agenzie per il lavoro, «che stanno svolgendo - ha ricordato il numero uno di Assolavoro, Stefano Scabbio - quel ruolo di ponte tra i due mondi. Un sistema di formazione all’impiego che viene riconosciuto come modello in tutta Europa, la conoscenza capillare del sistema imprenditoriale e delle esigenze specifiche di ciascuna azienda, rappresentano il valore aggiunto che deriva dal coinvolgimento delle Agenzie per il Lavoro in questi processi. Ora occorre proseguire lungo il percorso tracciato, fare tesoro delle esperienze già realizzate e valorizzare le “best practice”, facendo, come sempre rete».
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