Entra nell’ultimo chilometro la procedura di cessione dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Ieri i commissari straordinari Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba hanno aperto le buste contenenti le offerte vincolanti, custodite nello studio del notaio Piergaetano Marchetti, a Milano. Due, come da previsione, le proposte: si tratta (in ordine alfabetico) di quella del consorzio AcciaItalia (partecipato da Jindal south west al 35%, dal gruppo Arvedi al 10%, da Cdp e da Delfin con il 27,5% ciascuno) e di quella di Am Investco Italy, joint venture formata dal gruppo Marcegaglia (possiede una quota del 15%) e da ArcelorMittal (detiene il restante 85%).
A due anni dall’avvio dell’amministrazione straordinaria i tre commissari di Ilva, il principale produttore italiano di prodotti piani (5,5 milioni i coils spediti l’anno scorso), centrano così un primo obiettivo, creando le condizioni per la cessione a due soggetti con un profilo industriale solido e strutturato. Le offerte sono state trasmesse all’advisor finanziario della procedura di amministrazione straordinaria, Rotschild, per gli adempimenti connessi alla procedura.
L’esame delle offerte vincolanti è iniziato già ieri, e richiederà almeno un mese. Nulla è trapelato sull’entità delle offerte economiche: secondo alcuni rumors, però, non si tratterebbe di un prezzo simbolico, come paventato da molti in passato, ma di un valore di una certa consistenza. La valutazione sarà comunque compiuta anche con l’ausilio di un perito indipendente che confermi la congruità di mercato delle offerte (l’advisor incaricato è Leonardo&Co).
Ieri Am Investco Italy ha sintetizzato le linee guida delle propria offerta. Sul piano produttivo si prevede nel breve periodo la produzione di 6 milioni di tonnellate con i tre altiforni attualmente in servizio, ai quali apportare 4 milioni di bramme e coils laminati a caldo per i lavori di finitura. Sul lungo termine l’intenzione è attestare l’output di prodotti finiti a 10 milioni, di cui 8 provenienti dall’area a caldo. Sul piano ambientale si prevede «l’impiego di nuove tecnologie a bassa emissione di anidride carbonica, tra cui la cattura e l’utilizzo del carbonio». La jv prevede 1,1 miliardi di spesa in conto capitale a livello ambientale, e 1,2 miliardi in ambito industriale (tra questi è compreso anche il rifacimento del rivestimento interno dell’afo 5). I piani, spiega Am, sono supportati da «consistenti linee di credito disponibili, pari a oltre 5 miliardi di euro».
L’obiettivo è sviluppare la gamma di prodotti riposizionandola verso una qualità più elevata, da destinare ai segmenti automobilistico, edilizio ed energetico, sfruttando la rete europea di ArcelorMittal per le vendite e il marketing. Am mette nel piatto anche una spesa di 10 milioni per un centro di R&S su Taranto e l’impegno a una «consultazione con la comunità locale per comprendere le aree in cui apprezzerebbe di più un supporto». Am ha dichiarato ieri di avere siglato una lettera di intenti con Banca Intesa Sanpaolo per il futuro ingresso dell’istituto nella compagine societaria.
«Mi ha fatto tristezza assistere al declino di questa grande società negli ultimi anni - ha spiegato Antonio Marcegaglia, presidente e ceo di Marcegaglia -, siamo entuasiti di avere l’opportunità di contribuire alla rinascita di questa iconica azienda italiana dell’acciaio». In Am, secondo Marcegaglia, «la combinazione di eccellenze operative e finanziarie, unite a una profonda conoscenza del mercato, rappresentano la soluzione migliore per la rinascita dell’Ilva». Per Lakshmi N. Mittal, presidente e ceo di ArcelorMittal il consorzio Am «costituisce il miglior partner in assoluto. Siamo convinti - ha detto - di avere il giusto piano industriale, il piano ambientale corretto e il piano commerciale idoneo».
Nessuna comunicazione ufficiale, invece, da AcciaItalia, l’altra cordata in gara. Nei giorni scorsi Jindal south west, principale azionista con una quota del 35%, ha esposto a grandi linee la sua visione industriale su Taranto. L’obiettivo è produrre 10 milioni di tonnellate di acciaio: sei tonnellate proverranno da altoforno (investendo nel rifacimento dell’afo 5, che in futuro resterà l’unico impianto attivo insieme ad afo4), riducendo del 20% l’utilizzo di carbone in altoforno grazie all’impiego di gas; altri 4 milioni saranno invece prodotti con forni elettrici, caricati con preridotto (tecnica che Jsw già utilizza con successo nei suoi impianti indiani). Gli alleati industriali del gruppo indiano sono, oltre al gruppo Arvedi (che è partner della cordata), anche la giapponese Jfe, che è socio al 15% in Jsw. I tecnici di Jindal puntano anche a sfruttare tecnologie per il recupero e il riciclo delle emissioni di minerale e di fumi, indicando come priorità l’intera copertura dei parchi minerari. Anche in questo caso, come per Am, si parla di investimenti di diversi miliardi di euro da destinare sia agli obiettivi ambientali che a quelli industriali.
«Grazie a nuovi modelli di produzione possiamo ridurre gli scarti dei processi. Non possiamo eliminare le emissioni inquinanti - ha spiegato Sajjan Jindal, chairman di Jsw -, ma possiamo minimizzare e mitigare l’impatto di un’acciaieria nell’ambiente. La squadra di AcciaItalia è integrata e competitiva: lavoreremo bene insieme». Con questo investimento Jsw intende fare il suo ingresso sul mercato europeo dell’acciaio, puntando, secondo le dichiarazioni di Sajjan Jindal, a fare un prodotto di qualità, ben posizionato nel segmento automotive. Anche Jsw, che punta a raggiungere il breakeven in tre anni, è intenzionato a tenere in considerazione le esigenze della comunità locale, che saranno accolte a fatte proprie dalla Fondazione Jindal.
© Riproduzione riservata