Il rischio creato dal tema ambientale non è più solamente sulla reputazione. Entra direttamente negli investimenti, nelle scelte strategiche, nella visione del business. Fino a qualche anno fa, una svista ambientale o energetica generava malcontento e basta. Oggi non più: basta un censore-fai-da-te su un blog, è sufficiente un’accusa inventata o mal posta (contaminazioni alimentari, malattie, inquinamenti industriali) e in poche ore un’azienda viene condannata in modo irreparabile sul mercato.
Ma non c’è solamente il rischio commerciale dato da una caduta d’immagine. La valutazione dei rischi in base ai criteri Esg (Environment, sustainability, governance) per le aziende di grandi dimensioni può entrare in modo diretto nei conti. Fra ammortamenti, accantonamenti, poste straordinarie e oneri finanziari entra sempre più spesso nei bilanci anche il rischio d’impresa generato dalle scelte ambientali ed energetiche. Il cambiamento climatico in atto può produrre in prospettiva un rischio da gestire e prevenire, con un possibile impatto sul conto economico delle aziende. Rispetto ai bilanci ambientali classici, oggi può non essere più sufficiente - per un’azienda valutata dal mercato finanziario - misurare il consumo delle materie prime, le emissioni in atmosfera e la produzione di scarti: lo scenario di riferimento è planetario e alcune imprese cominciano a usare come metro internazionale la tonnellata di anidride carbonica. Dai rapporti del Cdp, Carbon disclosure project, emerge che un numero crescente di aziende sta fissando un prezzo interno dell’anidride carbonica, in modo da poter orientare gli accantonamenti.
La contabilizzazione del rischio ambientale ed energetico attraverso l’assegnazione di un valore teorico per la CO2 intende stimare le ricadute dell’introduzione di una carbon tax (una tassa sull’inquinamento, chiesta a gran voce da scienziati, ambientalisti e diversi economisti), o di aggravi per l’introduzione di normative climatiche e di vincoli di mercato generati dall’Accordo di Parigi del dicembre 2015. Si stima che il prezzo interno della CO2 sia stato calcolato da più di mille aziende di grandi dimensioni nel mondo. I valori variano a seconda dell’azienda, del mercato di riferimento, del tipo di attività e possono essere fissati fra i 10 e i 100 euro per tonnellata di CO2. Si sono dotati di questi strumenti quasi tutte le compagnie petrolifere orientate al mercato (per l’Italia, ad esempio, l’Eni), i colossi dell’informatica come Microsoft, aziende elettriche come la francese EdF.
Nell’era delle politiche climatiche e della decarbonizzazione, gli esperti di analisi dei rischi ambientali ed energetici diventano centrali. «Si tratta di tutelare gli azionisti sugli investimenti, dimostrando una visione che internalizza la visione del futuro - conferma Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e fra i più acuti analisti delle politiche energetiche -. L’importanza della valutazione dei rischi ambientali ed energetici è un esercizio che un numero sempre maggiore di imprese sta affrontando anche in Italia».
Anche il legislatore europeo si sta focalizzando sempre di più su questi temi, come testimoniato dalla direttiva 2014/95 sulle informazioni non finanziarie da allegare al bilancio, per le aziende quotate oltre i 500 dipendenti, le banche e le assicurazioni. Il decreto attuativo 254/2016 appena entrato in vigore stabilisce che queste devono allegare al bilancio una dichiarazione contenente, tra l’altro, informazioni sull’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo tra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche. Inoltre bisogna dichiarare le emissioni di gas serra e quelle inquinanti e persino l’impatto a medio termine dell’impresa su ambiente, salute e sicurezza. Questo perché l’investitore deve sapere se l’azienda su cui vuole scommettere è esposta a forti rischi.
Come fare a minimizzare questi rischi? Con l’efficienza energetica e l’energia da rinnovabili. La centralità del primo tema emerge anche dal recente libro «105 buone pratiche di efficienza energetica made in Italy» del Kyoto Club. «Per il settore dell’efficienza energetica in Italia si stima un volume d'affari medio annuo di circa 5,2 miliardi: una filiera d’eccellenza differenziante per il nostro Paese», sottolinea Laura Bruni del Kyoto Club, direttrice affari istituzionali della Schneider Electric.
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