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Dossier Il made in Italy segue l’onda del cambiamento

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    Dossier | N. 6 articoliRapporto Design

    Il made in Italy segue l’onda del cambiamento

    È storicamente il settore più vocato all’internazionalizzazione nel panorama dell’arredo-design italiano e questo ha consentito alle aziende dell’illuminazione made in Italy di contenere i danni della crisi e superarla prima e meglio di altri comparti. Secondo i dati del Centro studi FederlegnoArredo, nel 2016 oltre il 75% del fatturato del settore (quasi 2,2 miliardi di euro, in crescita dell’1% rispetto al 2015) è stato generato dalle esportazioni, dirette verso oltre 130 Paesi.

    Questa vocazione si riflette sui numeri di Euroluce, la manifestazione biennale che, all’interno del Salone del Mobile, ospita le aziende produttrici di apparecchi e sistemi per l’illuminazione, in particolare dell’ambito decorativo, ma con una presenza crescente anche di imprese attive nell’illuminotecnica. «Quest’anno abbiamo circa 450 aziende espositrici, con un aumento di quelle provenienti dall’estero, che rappresentano ormai la metà, a conferma dell’appeal internazionale non solo delle luci made in Italy, ma anche di questa fiera», fa notare Stefano Bordone, presidente di Assoluce. Le premesse per una edizione «importante», dice, ci sono tutte: «Il nostro comparto è fatto di centinaia di aziende piccole e piccolissime, che negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con una recessione durissima – fa notare Bordone –. Eppure, i numeri di Euroluce ci dicono che queste aziende hanno voglia di investire e innovare, mettersi ancora in gioco e in mostra».

    Lo spazio espositivo è cresciuto da 38mila a 40mila mq e ospiterà anche l’installazione DeLightFuL, un percorso visivo e sensoriale curato dallo studio Ciarmoli Queda che indaga gli aspetti dell’abitare contemporaneo, il cui fulcro sono design, luce e tecnologia.

    Design e innovazione tecnologica sono del resto gli elementi alla base del successo internazionale dei prodotti made in Italy e della capacità del comparto di reagire alla crisi. La vera e propria rivoluzione innescata negli ultimi anni dalle nuove sorgenti luminose (led e oled) e dalle tecnologie digitali ha imposto ai produttori ingenti investimenti per aggiornare l’ingegnerizzazione dei prodotti, ma ha spinto anche a esplorare nuove strade, aprendo così grandi opportunità di crescita, almeno per le imprese più capaci di mettersi in discussione.

    «Noi non inventiamo ma riceviamo queste nuove tecnologie – precisa Bordone –. Il nostro sforzo deve essere ripensare i prodotti e questo richiede grandi investimenti in ricerca e sviluppo, ma ci dà anche l’opportunità di creare forme e funzionalità mai esplorate prima». Si pensi ad esempio alla possibilità di realizzare apparecchi sottilissimi o ultra-piatti, di regolare qualità e intensità della luce in una infinità di variazioni che consentono di rispondere meglio alle esigenze delle persone o degli ambienti a cui le luci sono destinate.

    Tutto questo richiede anche competenze nuove e sempre più specifiche. Si sono create figure specializzate come i lighting designer che, tuttavia, in Italia stentano ancora a ottenere una piena riconoscibilità, come spiega Susanna Antico, presidente di Apil (l’Associazione dei professionisti della luce): «Negli ultimi 20 anni sono cambiate più cose che nei precedenti cent’anni – commenta –. Ma c’è ancora una lacuna culturale in Italia, dove l’architetto fa tutto. Invece è necessario ricorrere a specialità differenti per ogni campo». Il lighting designer è «colui che trasforma lo spazio senza toccarlo», grazie all’uso delle luci, rendendone possibile alle persone una corretta osservazione. Ma per riuscirci serve una formazione continua e dunque, di nuovo, continui investimenti da parte delle aziende e degli studi di progettazione.

    È l’unica strada per mantenere quella capacità, tutta italiana, di coniugare le innovazioni tecnologiche con la ricerca e la qualità estetica del design. «Riusciamo a difendere il nostro primato – osserva Bordone – e i dati 2016 confermano che i prodotti made in Italy hanno mercato in tutto il mondo». Primo mercato resta quello nazionale: la produzione destinata all’Italia vale circa 550 milioni. Considerando anche le importazioni dall’estero, in particolare da Cina e Germania, il consumo interno apparente del nostro Paese arriva a 1,4 miliardi. Primo mercato estero è invece la Francia che vale 193 milioni, in crescita del 6,2% sul 2016. Significativa la crescita degli Emirati Arabi (+37%), da attribuire soprattutto alle grandi commesse contract. Colpisce invece il dato negativo degli Stati Uniti (-4,1%) e l’assenza della Cina nella top ten dei Paesi di destinazione dei prodotti italiani: proprio i due Paesi che, invece, l’anno scorso sono stati motore dell’export per l’arredo-design nel suo complesso. La ragione va attribuita soprattutto alle difficoltà legate a certificazioni e ostacoli burocratici, come spiega Bordone, che rappresentano un forte deterrente soprattutto per le aziende più piccole.

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