Quanto vale la Coca Cola in Italia? Lo 0,05% del Pil. Che si traduce – se vi sembra poco – in 813 milioni di risorse finanziarie generate nel 2015 e 389 milioni di quota versata all’erario in imposte sui prodotti venduti.
Sono i dati presentati ieri in uno studio realizzato da Sda Bocconi School of Management (la business school dell’Università Bocconi). L’indagine ha preso in esame il “mondo Coca Cola”, ovvero 3 società (Coca-Cola Italia, Coca-Cola Hc Italia e Fonti del Vulture, l’azienda di acque minerali acquisita nel 2006), per rilevare l’impatto economico e occupazionale del gigante Usa delle bevande nel nostro Paese.
Quanto all’occupazione la società impiega – direttamente o indirettamente – un totale di quasi 26mila lavoratori, con un rapporto di 1 occupato diretto ogni 12 posti di lavoro indiretti. Il marchio impiega 2.100 dipendenti diretti, distribuiti in nove sedi, e 25.610 lavoratori complessivi (diretti e indiretti), mentre il totale di persone che dipendono dai redditi generati dall’azienda è pari a circa 60mila unità. Su scala globale, impiega oltre 90mila persone in 200 paesi.
Sempre secondo l’indagine Sda Bocconi, il “sistema Coca Cola” si impone come primo player italiano nell’industria delle bibite con una quota del 32,6% (pari a circa 2,6 miliardi di euro di risorse geerate) in un settore che conta 313 imprese.
Posizione confermata anche nel segmento delle bevande, dove il gruppo incide per il 7,1% (13 miliardi di euro) su un comparto da 2.135 imprese. Quanto al rapporto con i fornitori, il gruppo ha acquistato prodotti da 1000 aziende per un valore di 275 milioni di euro.
A livello regionale, Coca Cola produce e distribuisce 147 milioni in Lombardia, 58 milioni in Veneto, 35 milioni in Abruzzo, 27 milioni in Campania e 7 milioni in Basilicata. Nel dettaglio dell’occupazione, si contano 15.805 lavoratori in Lombardia, 4.114 in Abruzzo, 1.428 in Veneto, 971 in Campania e 278 in Basilicata.
Uno dei maggiori stabilimenti europei di Coca Cola Hbc è quello di Nogara, in provincia di Verona, finito al centro delle polemiche dopo le contestazioni nate
nel corso di un cambio di appalto. Le organizzazioni sindacali avevano trovato una intesa che non prevedeva licenziamenti e impegnava la cooperativa a ricollocare i lavoratori eventualmente in esubero altrove ma anche non aveva trovato d0accordo gli iscritti al sindacato Adl Cobas del Veneto. Da quì, lo stop temporaneo della produzione.
L’azienda aveva, a sua volta, ribadito di non poter entrare nella vertenza, poiché non si trattava di propri dipendenti, ma di aver scelto di compensare il 20% di retribuzione persa dai lavoratori con la cassa integrazione.
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