a fenomeno di nicchia a fenomeno di massa (o quasi). Fino a dieci anni fa i prodotti alimentari, cosmetici o curativi ispirati a principi naturali o salutisti erano prerogativa di una distribuzione specializzata, rivolta a consumatori di fascia sociale medio-alta e caratterizzati da prezzi molto elevato. Oggi i prodotti “bio” o “veg” sono stati sdoganati persino dal paniere Istat, che nel 2017 ha inserito anche i cibi vegetariani o vegani. Accanto ai produttori specializzati, anche i big internazionali dell’alimentare hanno dato vita a linee ed etichette «ad hoc». Dagli scaffali di piccoli negozi specializzati i cibi biologici si sono diffusi su quelli della grande distribuzione, mentre i prodotti per l’automedicazione o la cura della persona e gli integratori alimentari sono entrati a pieno diritto nelle farmacie e profumerie.
Il mercato “bio” “veg” e “salutista” muove oggi nel nostro Paese un giro d’affari di 5,5 miliardi, in crescita del 7% annuo e con un numero crescente di operatori. La stima è stata elaborata dalla società di consulenza Adacta, che ha realizzato una “mappa ragionata” del settore (dall’alimentare alla cosmesi, alla farmaceutica), esaminando non solo i fatturati ma anche le strategie di business dei principali player presenti in Italia, sia specializzati (tra cui Aboca, Specchiasol, Valsoia, Alpro), sia tradizionali (da Granarolo a Danone , a Coca Cola).
Pur essendo partita in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia sta recuperando rapidamente terreno, come spiega Andrea Beretta Zanoni, partner Adacta e docente di Strategie aziendali all’Università di Verona: su un totale europeo di 45 miliardi, l’Italia vale oggi solo 5,5 miliardi, ma nel giro di quattro anni potrebbe salire a 7,7 miliardi, complice anche la diffusione crescente di questi prodotti nei canali di “mass market”. Basti pensare che, solo sul fronte alimentare, le vendite di prodotti biologici nella grande distribuzione hanno sfiorato quota 1,3 miliardi di euro a marzo 2017 (fonte AssoBio su dati Nielsen).
Quello italiano è un mercato molto frammentato, spiega Beretta Zanoni, con aziende che – nel caso dei principali operatori – non superano dimensioni di medie aziende, con fatturati attorno ai 100 milioni. E questa è una prima differenza rispetto agli altri Paesi europei, dove le società specializzate raggiungono anche i 400 milioni di giro d’affari (è il caso della belga Alpro, 412 milioni nel 2015). «I margini di crescita di queste aziende sono perciò molto elevati – precisa il docente – e un ruolo centrale assume la leva del marketing, sia dal lato dell’offerta sia da quello della commercializzazione». Servono importanti investimenti in innovazione, per realizzare prodotti capaci di attrarre consumatori che adottano regimi dietetici particolari, in genere molto scolarizzati, con buona disponibilità di reddito, ben informati e selettivi negli acquisti.
«Un tempo era il marketing a condizionare le scelte dei clienti. Oggi sono i clienti a condizionare le scelte e le strategie delle aziende», conferma Federico Allamprese, un pioniere del settore, con la sua Granaio delle Idee fondata 20 anni fa a Maserà di Padova e specializzata (anche con il marchio Ruggeri destinato alla Gdo) in farine e miscele per la panificazione, tutte prodotti “clean label” senza emulsionanti e additivi chimici. «Il mercato è in pieno boom, ma per cavalcare quest’ondata sono necessari investimenti continui in innovazione e ricerca», spiega. L’azienda, che dovrebbe superare i 7 milioni di ricavi quest’anno, destina a ricerca e sviluppo ogni anno il 13% del fatturato.
La ricerca elaborata da Adacta mette in luce, sul fronte produttivo, un settore in cui i gruppi tendono a declinare la propria offerta in ambiti diversi: «Un mix di nutraceutica e farmaceutica che è il vero tratto distintivo di questo mondo – precisa Beretta Zanoni – con prodotti spesso al confine tra il nutrizionale e il curativo».
Sembra inoltre tutta italiana la caratteristica di aver sviluppato un’offerta di prodotti non solo naturali, ma per la grande maggioranza a base vegetale. Così come è ancora prettamente italiano il posizionamento di questi prodotti ancora su una fascia alta del mercato consumer, non più di nicchia come in passato, ma comunque caratterizzato da prezzi sopra la media. Anche se, fa notare il professore, la progressiva sebbene lenta diffusione anche nella Gdo sta portando a un cambiamento su questo fronte.
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