Economia

Riso Scotti «vende» il riso ai cinesi

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Alimentare.

Riso Scotti «vende» il riso ai cinesi

(Olycom)
(Olycom)

Riso Scotti vende il risotto e il latte vegetale ai cinesi. L’accordo è stato siglato tra l’azienda pavese e i cinesi di Central Leader che controllano la piattaforma social Dropswujie 4.0, un partner che garantisce le transazioni dal produttore al consumatore senza contraffazione, tema sensibile per i cinesi alla ricerca di sicurezza alimentare. «È una grande opportunità – spiega Dario Scotti, ad di Riso Scotti – e l’abbiamo studiata bene. La Cina non è un Paese qualunque ma ha logiche peculiari e si deve costituire un’azienda nell’azienda».

In giugno sono partiti per la Cina i primi otto container di risotti, gallette di riso, olio e latte di riso. A regime l’azienda spera di raggiungere i 5 milioni di fatturato al mese, 60 l’anno. Volumi che, se raggiunti, richiederanno ampliamenti significativi della struttura produttiva. In Cina non si può esportare riso bianco (lo possono fare solo Giappone e Thailandia, grazie ad accordi bilaterali) e quindi si punta sui prodotti “etnici”. «Prima dello sbarco – osserva il ceo Rosa Maria Giupponi – abbiamo registrato i marchi in Cina, ci sono voluti 2 anni, abbiamo fatto diverse visite ai distributori locali e abbiamo studiato bene il posizionamento dei prezzi. Poi abbiamo scelto la piattaforma Dropswujie, la cui app in 2 settimane è stata scaricata da 30 milioni di cinesi». Nel Celeste impero 530 milioni di consumatori effettuano ordini online di food & beverage. «I numeri sono impressionanti – dice Giupponi – e penso che se i consumatori ci premieranno, come sono convinta, faremo fatica a stare dietro agli ordini».

Riso Scotti è un big del riso bianco e ha diversificato nelle specialità riso, nel riso pasta, nei drink vegetali, nei biscotti, negli snack e nei prodotti del benessere. L’anno scorso la multinazionale pavese ha realizzato un fatturato consolidato di 216,5 milioni (215,5 l’esercizio precedente) e un Ebitda di 16,9 milioni (10,5). La Pfn è -20 milioni (-21), e non comprendono gli 8,5 milioni depositati presso il fondo unico di giustizia per una vicenda processuale pendente. Nel primo semestre del 2017, la capogruppo Riso Scotti spa (ha l’85% del business) ha realizzato ricavi per 92,4 milioni, un Ebitda di 7,9 milioni e un utile ante imposte di 7 milioni. Un terzo del fatturato totale è realizzato all’estero.

«Il primo semestre è stato ottimo – spiega Scotti – la capogruppo ha realizzato una crescita del 7% a volume. Inoltre l’andamento favorevole della materia prima ci ha avvantaggiati». Il riso (più della pasta, in crisi) risponde meglio al trend salutista degli italiani. «Una sorta di seconda giovinezza – osserva il direttore commerciale Gianluca Pesce –. Viene percepito come un alimento sano (senza glutine), aperto alle innovazioni e facilmente digeribile». Tuttavia dopo la performance del 2016 (+0,2% a volume e +3% a valore a 390 milioni, dati Iri), la crescita delle vendite in Italia nel primo semestre si è quasi azzerata a valore (+0,2%) e rimbalzata dell’1,6% a volume. I dati di Iri indicano che sono quasi tutti in regresso le varietà di riso bianco (arborio, ribe, vialone nano, roma, originario, padano) mentre crescono le specialità riso (esotico, integrale, cottura rapida) sia a volume (+7,7%) che a valore (+11%). In calo anche cereali e parboiled. I tre big del riso, Gallo, Scotti e Colussi, hanno il 35,7% del mercato. Le marche private il 33,3 per cento.

La famiglia Scotti detiene, attraverso Sofire, il 50,7% della società, la multinazionale spagnola del riso e della pasta Ebro Foods il 40% e il resto Glorenza Boneschi. «Ebro Foods – conclude Dario Scotti – non ci ha aiutati tanto nel business quanto nel portare in azienda la cultura della globalizzazione».

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