È l’ottimismo della volontà più che la prospettiva indicata dai numeri a determinare il clima effervescente con cui l’industria ceramica italiana si prepara ad aprire Cersaie 2017, la kermesse - al via il 25 settembre a Bologna - che da 35 edizioni conferma la supremazia del made in Italy su scala mondiale quando si parla di piastrelle per l’architettura e di arredobagno.
I volumi sono in ripresa, ma il +5,4% di produzione 2016 in Italia (416 milioni di metri quadrati) non sposta la potenza dei cinesi che producono in autarchia la metà degli oltre 12 miliardi di metri quadrati di piastrelle posate ogni anno sul pianeta. Così come i 332 milioni di metri quadrati di esportazioni non bastano a recuperare il distacco dagli spagnoli, più rapidi nella ripresa, che da tre anni hanno superato il Belpaese per metrature vendute oltreconfine, ma non in valore.
Con 4,6 miliardi di euro di export e un prezzo al metro quadrato medio di circa 14 euro, pari al doppio del listino spagnolo e turco e quasi tre volte quello cinese, «la ceramica italiana riesce ancora a restare leader sui mercati internazionali e benchmark per innovazione di prodotto e processo, grazie a una rivoluzione nelle nostre fabbriche che ha addirittura anticipato il piano 4.0 del Governo e ha introdotto nuove metodologie produttive», spiega Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica, che rappresenta un settore da 6,2 miliardi di fatturato (per l’87% legato alle piastrelle, seguite da refrattari, sanitari e stoviglieria), con 225 industrie e quasi 25mila addetti. Gli incentivi del piano Industria 4.0 hanno infatti impresso un’ulteriore (inattesa) accelerazione degli investimenti del distretto di Sassuolo su automazione e digitalizzazione, che si appresta anche per il 2017 a battere un nuovo record di investimenti, dopo il + 27% del 2014, il +23% del 2015 e il +14% del 2016 (anno in cui il settore ha superato i 400 milioni di euro investiti in innovazione). La conferma arriva dai numeri di metà anno di chi a monte costruisce macchine per ceramica (le industrie aderenti ad Acimac): le vendite di tecnologie in Italia nei primi sei mesi dell’anno sono aumentate quasi del 60% (del 59,7% per la precisione), contro il +3,7% all’estero.
Il profondo riassetto della «tile valley»inizia a dare frutti misurabili: il 2016 ha visto per la prima volta interrompersi la dinamica negativa in Italia, dopo otto anni in caduta, con un +3,2% di vendite a 83 milioni di mq, un 20% dei 416 milioni di mq prodotti. E per quanto si tratti di volumi pari a meno della metà degli anni pre-crisi, l’inversione è l’indispensabile ingrediente per recuperare anche fiducia. Prometeia prevede quest’anno un consolidarsi della domanda domestica, a un ritmo del +2% nel 2017 e +1,4% nel 2018, meno della metà però della crescita prevista per la domanda mondiale, che nel giro di due anni porterà a consumare un altro miliardo in più di metri quadrati di piastrelle sul pianeta. Per il made in Italy la prospettiva è continuare a ritagliarsi la nicchia top d’eccellenza, in una piazza globale dove sarà il manufatto cinese ad accaparrarsi un terzo dell’export mondiale (contro il 12% della produzione italiana).
A far quadrare fatturati e margini delle 147 imprese italiane produttrici di piastrelle (per 19mila dipendenti) sono oggi soprattutto le vendite verso Stati Uniti ed Europa, mercati storici del distretto. «Germania, Francia, Austria, Svizzera e in generale il Nord Europa sono la vera sorpresa anche per questo 2017. Paesi vicini, facili da servire anche dal punto di vista geografico e in cui siamo leader in termini di quote di mercato; i nostri competitor diretti spagnoli e turchi gravitano invece più sul bacino Mediterraneo dove la piastrella è vista come una commodity a basso prezzo», aggiunge Borelli. Il rafforzamento dell’euro sul dollaro potrebbe gettare qualche ombra sul futuro. «Fino a un cambio di 1,20 sul dollaro non ho raccolto particolari tensioni tra i colleghi, è chiaro però che se il valore dovesse salire ancora e raggiungere 1,40 l’impatto potrebbe essere diverso e si cominceranno a ritoccare i listini. Ma secondo me non ne risentiremo quest’anno, per cui confermiamo le stime di ulteriore, lieve recupero», afferma il presidente.
Resta sotto tono il mercato domestico. «L’Italia resta il grande malato – ammette il presidente– la domanda è piatta e pensiamo di doverci abituare a questa nuova normalità». A fronte della stasi dell’edilizia residenziale le industrie ceramiche hanno però saputo ritagliarsi nuovi spazi per crescere, sdoganando la piastrella dal rivestimento domestico per rubare quote ad altri materiali e applicazioni nell’arredamento e nell’architettura da esterni, grazie in particolare alle grandi lastre, il driver dello sviluppo negli ultimi anni e must negli stand di Cersaie. «Le grandi lastre aprono ora scenari nuovi in termini di flessibilità e versatilità - spiega il presidente, con la premessa che i formati tradizionali sono ancora il core business business delle imprese - perché la lastra si presta agli usi più diversi, può essere tagliata, bucata e sagomata per le forme più varie, come un tessuto che il sarto adatta a ogni corpo da vestire».
Dietro ai numeri c’è la forza di un’industria che non si è lasciata abbattere da un decennio ininterrotto di venti avversi ma ha sfoltito i rami secchi e reso le sue radici ancora più solide, innaffiandole con l’innovazione.
«Siamo arrivati al 7% del fatturato dedicato ogni anno al miglioramento di prodotti e processi, cifra ben oltre le medie dell’industria, cui ha dato una spinta la crisi ma anche la nostra grande sensibilità ai temi ambientali e di sostenibilità», afferma Borelli. Una mano non indifferente alla ripresa l’ha data anche la mobilitazione europea che ha permesso di arginare la concorrenza sleale cinese, facendo crollare del 70% nel giro di cinque anni le importazioni di prodotto asiatico. Difese che l’Europa ha promesso di mantenere per altri cinque anni e che i vertici di Sassuolo vorrebbero estendere ora anche ai sanitari.
Ma la vera forza del made in Italyceramico è la presenza di una filiera completa, all’interno della quale si crea reciproca contaminazione. Nell’ecosistema sassolese, infatti, a fianco di chi lavora argilla e sabbie ci sono scuole, industrie meccaniche, colorifici, designer. «Veniamo fortunatamente da collaborazioni radicate nel distretto, tanto con le scuole quanto con i costruttori di tecnologie e materiali: questa organizzazione di filiera strettamente integrata è la spirale virtuosa da cui nasce la nostra superiorità tecnologica, di prodotto e di innovazione che non è replicabile altrove; ora siamo rafforzando la collaborazione sia con gli istituti tecnici superiori sia con le facoltà di Economia e Ingegneria delle Università», racconta il presidente di Confindustria Ceramica. Che parla di «forti investimenti sul tema formazione, diventato l’elemento più strategico per far funzionare la fabbrica 4.0, perché le nuove macchine installate richiedono logiche e linguaggi diversi nell’interazione con l’uomo».
Va tutto bene, quindi, per le piastrelle tricolori? «No — conclude il presidente Borelli – perché dietro all’Italia grande malato che non ci permette di prevedere a breve un aumento di posti di lavoro, c’è un’altra malattia che si va aggravando, al di là dei proclami politici, che si chiama burocrazia. La sensazione di noi imprenditori emiliani, amplificata dall’aumentare di pratiche di riqualificazione e costruzione nel distretto, è che siamo arrivati al punto più basso dopo il referendum costituzionale. Le pratiche di autorizzazione sono sempre più lunghe, di semplificazione non s’è vista l’ombra. E questo male che dilata i tempi dei nostri investimenti a 5-10 anni, contro i mesi con cui si misurano i progetti dei concorrenti europei, allarga sempre di più il nostro gap competitivo. Un ragionamento che vale tanto per il privato quanto per le opere pubbliche». La partenza dei cantieri della bretella Campogalliano-Sassuolo nel maggio 2018 e lo sblocco della Cispadana (su cui il governatore regionale Stefano Bonaccini ha messo la faccia) sarebbero una salutare iniezione di ottimismo.
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