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Dossier La dichiarazione ambientale di prodotto spinge il business

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    Dossier | N. 6 articoliRapporto Industria ceramica

    La dichiarazione ambientale di prodotto spinge il business

    Un tempo erano considerati quasi al pari di una zavorra, anche se necessari. Oggi sono riconosciuti a pieno titolo come fattore di competitività. Con la grande svolta green iniziata nel 2009, l’industria della ceramica italiana ha fatto degli investimenti nella sostenibilità della produzione un valore aggiunto per la competizione sul mercato globale. E ora, con la dichiarazione ambientale di prodotto, certificazione volontaria riconosciuta a livello internazionale, le imprese del settore si presentano al mondo con nuove credenziali: il risultato dello studio sull’intero ciclo di vita di un metro quadrato di piastrelle realizzato grazie all’utilizzo dei dati primari del processo produttivo di 84 stabilimenti (che rappresentano oltre l’82% della produzione italiana di ceramica).

    «È il biglietto da visita con il quale ci presentiamo sul mercato globale per attestare la qualità ambientale del nostro prodotto», dice Roberto Fabbri, presidente della commissione Ambiente di Confindustria Ceramica. La titolarità della dichiarazione (in inglese Epd, acronimo di Environmental product declaration) è dell’associazione degli industriali delle piastrelle ed esamina tutte le fasi del ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime necessarie alla produzione al riutilizzo della prodotto dopo la disinstallazione. L’analisi è imponente: per numero di aziende coinvolte costituisce lo studio più partecipato a livello globale nella filiera delle costruzioni. L’Epd analizza per esempio le condizioni di lavoro durante il processo di fabbricazione, evidenziando l’adozione di prassi di sicurezza per garantire la salute dei dipendenti e prevenire gli infortuni e assicurando contemporaneamente la salvaguardia dell’ambiente. Conferma l’assenza di contaminazione delle acque e dei terreni durante il processo produttivo - in particolare con il riciclo della totalità dei residui di scarico durante la macinazione e con la immissione in impianti di trattamento interni che ne consentono il riuso – e la difesa della qualità dell’aria, con il mantenimento al di sotto di rigidi limiti normativi delle emissioni generate dal processo di combustione. Inoltre, sul fronte dell’energia, attesta come sia ormai prassi consolidata da parte di numerose aziende il ricorso all’autoproduzione, con impianti di cogenerazione e pannelli solari. La svolta green riguarda anche gli imballaggi, con il riuso di carta, plastica e legno.

    Adesso solo gli adempimenti burocratici legati alla valutazione di impatto ambientale e alle procedure di screening (per verificare se sottoporre un progetto alla valutazione) rischiano di rallentare la marcia delle aziende verso la totale sostenibilità. Le nuove direttive della Regione Emilia Romagna estendono infatti l’applicazione della disciplina sullo screening anche a piccole modifiche di impianti già autorizzati, con un aggravio di procedure e costi. «Questo – prosegue Fabbri – provoca un insostenibile allungamento dell’iter autorizzativo, che mette a rischio gli investimenti programmati per l’industria 4.0, visto che per accedere ai contributi previsti dal piano nazionale bisogna aver ordinato i beni e pagato un acconto entro il 31 dicembre prossimo».

    Dà man forte alle imprese, sulla necessità di snellire la burocrazia, anche il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che sarà ospite al convegno inaugurale del Cersaie (il 25 settembre) dal titolo «Sostenibilità e competitività della manifattura europea nel contesto internazionale». Galletti ha di recente sollecitato interventi per avviare processi di semplificazione, «che non significano meno rigore ambientale ma meno potere di veto ingiustificato o di inaccettabili ritardi». I processi autorizzativi non servono a bloccare le opere ma a far sì che vengano realizzate in maniera corretta e senza danneggiare l’ambiente; «e questo si può e si deve fare in tempi ragionevoli e con procedure snelle e trasparenti», ha dichiarato.

    La conferma della capacità competitiva che può essere innescata da una produzione green arriva anche dalla certificazione Leed, che identifica gli edifici a basso impatto ambientale. Nato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Novanta, e adottato dal governo federale Usa come strumento di verifica dell’impatto degli edifici della pubblica amministrazione, il rating è il risultato della somma di criteri di costruzione che riguardano anche la scelta dei materiali, scelta in cui giocano un ruolo da protagoniste anche le piastrelle made in Italy. Con l’Epd, spiega Nadia Boschi, vicepresidente del Green building council, costola italiana dell’istituto americano che assegna la certificazione, «la stragrande maggioranza delle imprese del settore ceramico ha adottato le misure necessarie a rispondere ai requisiti richiesti dalla certificazione». Una marcia in più per conquistare nuove quote di mercato oltreconfine, se si considera, prosegue Boschi, che «la certificazione è diffusa in 195 Paesi, ogni giorno coinvolge 204mila metri quadrati di costruito a livello globale ed è molto richiesta negli Usa ma anche in Europa, a partire da Paesi come Spagna e Francia, mentre in Italia riguarda già 171 progetti che hanno ottenuto la certificazione e altri 473 che hanno avviato l’iter per ottenerla». Il rating è applicato per ora soprattutto a edifici a uso commerciale e uffici.

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