Cambiare il commercio tradizionale per poter rimanere competitivi. Il crollo del costo delle tecnologie digitali e i tempi rapidi di acquisizione di milioni di clienti aprono un’autostrada al commercio online. Di questo e delle opportunità e delle criticità connesse allo sviluppo del retail 4.0 si è parlato a Milano all’11° Consumer & retail summit del Sole 24 Ore. «L’era digitale è un’opportunità per i retailer tradizionali - ha detto Alessio Agostinelli, partner e managing director The Boston consulting group -. L’onda del commercio elettronico viene alimentata anche dall’evoluzione tecnologica. Oggi in Italia il peso del commercio online è solo il 2,8% del totale ma si stima che arrivi al 7,3% entro il 2021».
Il confronto con gli altri Paesi europei è impietoso: il Regno Unito si colloca al 15,5%, la Francia al 10,2%, la Germania al 9,9%. Prima dell’Italia, ci sono anche la Spagna al 4,2% e la Grecia al 3,5%. Tuttavia la frammentazione della rete commerciale, con 750mila negozi in sede fissa e oltre 200mila ambulanti, giustificano il “ritardo” italiano, soprattutto nell’alimentare.
Secondo il report di Bcg, il tempo per raggiungere 50 milioni di utenti da parte delle grandi aziende di servizi si è drammaticamente accorciato: per le compagnie telefoniche è stato necessario attendere 75 anni e per quelle televisive 38 anni; più recentemente Facebook ha impiegato solo 3,5 anni, Aol 2,5 e Whatsapp meno di due anni. Il videogioco Temple Run 2 addirittura due settimane.
«Cambiano le aspettative del consumatore - ha aggiunto Agostinelli -. In particolare i giovani sono soddisfatti di quello che trovano sui social media. Acquistano i prodotti online a prezzi più bassi, dopo averli provati in negozio, pagano con lo smartphone e accedono ai negozi virtuali a tutte le ore».
I tempi del digitale valgono nella stessa misura per grocery e non? «Il tema è trasversale - ha risposto il partner di Boston -. Certo, il food ha tempi più lenti, ma il digitale impatta sul consumatore e migliora i processi di gestione del retailer: offerta commerciale, category, logistica, controllo del circolante».
Nel nostro Paese, i distributori del grocery guardano con curiosità e alcuni con scetticismo all’evoluzione del commercio online (la sfida sulla logistica del fresco è aperta), pur attivandosi nell’avvio di sistemi click & collect e nella consegna a domicilio della spesa. Per esempio, il pioniere Esselunga effettua consegne a domicilio da 15 anni. Mentre la catena commerciale Crai sta per lanciare il servizio. «Se anche l’e.commerce salisse al 7,3% - ha detto Marco Bordoli, ad di Crai Secom - i negozi fisici conserverebbero oltre il 92% delle vendite. Vedremo. Questo però non ci basta: dalla prossima settimana Crai avvia l’online, click & collect e delivery, con una previsione di coinvolgere 250 negozi entro la fine del 2017. Abbiamo assunto 9 addetti per gestire il sistema digitale: sarà in grado gestire l’offerta regione per regione e comune per comune. In ossequio alla nostra visione di legare strettamente l’offerta al territorio».
In Italia lo sviluppo del e.commerce ha assunto ritmi impressionanti nei prodotti elettronici. Il travaso dal negozio fisico alle vendite online si sta mangiando ricavi e margini. Per esempio, il primo semestre dell’anno fiscale 2016/17 del leader di mercato Media World ha registrato vendite online in crescita del 45% ma quelle in negozio sono calate del 3%. Il risultato è -1,5% dei ricavi complessivi.
Negli Stati Uniti Amazon ha ucciso il gigante del giocattolo Toys’R’Us (1.600 punti vendita) che si è rifugiato sotto l’ombrello del Chapter 11.
Ma la partita dell’e.commerce è ancora lunga: si deve capire qual è il giusto mix di virtuale e fisico per avere successo. Recentemente Amazon ha acquistato (per 13,7 miliardi di dollari) la catena “fisica” americana Whole Foods mentre il colosso Walmart (4.700 punti vendita) ha investito in piattaforme digitali rilevando Jet.com (3 miliardi di dollari) e stretto un’alleanza con Google.«Non so se il modello di business di Amazon sia sostenibile - ha osservato Gabriele Tubertini, direttore dei sistemi informativi di Coop Italia -. Negli ultimi 21 anni (dal 1995 al 2015), Amazon ha realizzato meno del 20% dei profitti di Walmart. Ma soprattutto la parte preponderante degli utili è arrivata dai servizi digitali, non certo dall’e.commerce. Quindi, in realtà, Amazon non è un nostro concorrente».
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