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Dossier Perché ciò che è «old» funziona sui social network

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    Dossier | N. 12 articoliImprese Social

    Perché ciò che è «old» funziona sui social network

    (Bloomberg)
    (Bloomberg)

    Che la rete rappresenti una leva imprenditoriale fondamentale è certezza ormai assodata. Il “come” è spesso ancora un punto di domanda cui soprattutto le piccole e piccolissime imprese italiane non riescono a rispondere in autonomia. Chi ha poche competenze digitali, parla poco e male l'inglese, rischia di fare danni su Internet ed è anche per questo che aziende che da generazioni costruiscono professionalità e brand, decidono di rinviare il grande salto, in particolare sui social.

    Altri invece riescono a piegare il linguaggio della rete alle proprie esigenze di promozione e di contatto con la propria clientela e a diventare fenomeni nazionali e internazionali, in alcuni casi come abbiamo raccontato in questi giorni in occasione del Future of business summit, organizzato a Roma da Facebook insieme al Sole 24 Ore.

    In questo campo il rischio maggiore è la naïveté, non solo per ciò che riguarda l'approccio delle aziende al digitale ma anche nella comprensione del fenomeno. Non stupisca cioè se il social media con il maggior numero di iscritti sul pianeta cerca - come le altre piattaforme del resto - di aiutare aziende spesso di matrice familiare a fare fatturato raccontando la propria storia, descrivendo i propri processi produttivi, raccontando a clienti e consumatori potenziali la propria eccellenza.

    Ciò che le piattaforme social sanno bene - al di là della loro disruptive strategy, ossia della rivoluzione che hanno imposto nelle nostre vite - è che se si punta a fatturato e utili, poco conta il numero delle persone loggate al proprio sito, quanto piuttosto quelle in grado di movimentare traffico, attenzione, letture e impression: business in definitiva. Se è vero che siamo tutti merce delle piattaforme social è anche vero che ci sono merci più pregiate e altre meno: internet, a dispetto di semplificazioni (queste si naïf) non è il regno dell'uno uguale a uno, del tutto piatto e gratis, ma un ecosistema informativo in cui le gerarchie si innestano come nei contesti offline.

    Per questo imprese e informazione sono molto importanti per Facebook così come per LinkedIn e Twitter (e per gli altri): sono loro a popolare quel 20% di utenti in grado di produrre l'80% del fatturato di queste piattaforme, secondo il principio di Pareto studiato sui libri di scuola (che sia 30% e 70% poco cambia).
    Una riprova l'abbiamo avuta negli ultimi giorni, con la diffusione dei risultati dei test compiuto da Facebook in alcuni paesi (Sri Lanka, Slovacchia) in cui sono stati separati i feed di notizie dalle timeline degli utenti, facendo calare il traffico fino oltre il 60%.

    Ciò che ci interessa, ciò che attira attenzione e lo fa in modo non episodico ma seminando per gli engagement del futuro, conquistano presto quella posizione di preminenza nella gerarchia delle nostre frequentazione social. Perché per quanto ci possano piacere i gattini e le battute dei nostri vecchi compagni del liceo (che non a caso non frequentiamo più), siamo naturalmente portati a sapere e qualcosa di più di questo mondo pazzo che ci gira intorno, di cui riusciamo a cogliere solo qualche aspetto. Social, ovviamente
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