Cassa Depositi e Prestiti? Sarebbe la benvenuta, così come Intesa Sanpaolo». Aditya Mittal preferisce non commentare i negoziati in corso con l’Antitrust europeo, anche se il numero uno continentale del colosso dell’acciaio apre a possibili riassetti di AmInvesco. Necessari, qualora Bruxelles, come ipotizzato, chiedesse di estromettere il gruppo Marcegaglia dalla cordata che ha rilevato Ilva. «Che per noi rappresenta una grandissima opportunità - spiega il ceo di ArcelorMittal Europe –, un progetto in cui sono sicuro avremo successo. Come è accaduto tante altre volte nella nostra storia».
Mittal, classe 1976, bachelor degree negli Stati Uniti, nel summit annuale con la stampa a Parigi dribbla con serenità le domande sul sistema Italia e sui tanti nodi aperti, anche se è lo stesso ministro dello Sviluppo economico Calenda a dichiarare di non comprendere come si possa accogliere in questo modo un investitore deciso a puntare sul paese svariati miliardi di euro. Ma sindacati in fermento, impianto di Genova bloccato per giorni, minacce di ricorsi ai tribunali, critiche sui piani industriali ed ambientali non preoccupano il figlio del fondatore del gruppo, del resto abituato a difficoltà ben superiori dopo aver gestito da Cfo del gruppo la scalata ostile ad Arcelor.
«L’acciaio è un’industria difficile – spiega – e sappiamo che produce impatti rilevanti per le comunità, i lavoratori, l’intero territorio. Il nostro obiettivo è rendere le produzioni allo stesso tempo competitive e sostenibili. In Italia siamo impegnati in un dialogo intenso, come è normale che sia. Stiamo spiegando alle parti sociali perché crediamo che la nostra sia la soluzione migliore, perché pensiamo di poter riportare Ilva all’antica gloria prendendoci anche cura della comunità circostante». Con l’obiettivo anzitutto di ribaltare la situazione precedente, caratterizzata da una performance ambientale «pessima», all’interno di un percorso in cui «non ci si è preoccupati del territorio». Questa sarà la prima area di intervento, con impegni per 1,15 miliardi di euro, a cui si affiancheranno altri 1,25 miliardi per l’upgrade produttivo. Investimenti rilevanti, tenendo conto che complessivamente è stato pari a un miliardo l’impegno del gruppo lo scorso anno per l’intera Europa. Anche se sull’intero progetto pesa ancora l’incognita Antitrust. ArcelorMittal non esclude dunque un eventuale riassetto dell’azionariato di AmInvesco Italy (a oggi ArcelorMittal ne controlla l’88%, la parte restante è divisa tra gruppo Marcegaglia e Intesa Sanpaolo) se per rispondere ai «seri dubbi» di Bruxelles sugli effetti concorrenziali dell’operazione per settori produttivi a valle e consumatori finali fosse necessario separare le sorti del maggiore produttore mondiale e del principale trasformatore di acciaio in Europa, cioè Marcegaglia.
A preoccupare il gruppo, più che l’elenco dei “rimedi” proposti, pare tuttavia la dilatazione temporale della decisione, tema su cui però arriva indirettamente la risposta di Bruxelles, con la commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager che punta ad accelerare rispetto alla deadline ipotetica del 23 marzo, 90 giorni dopo l’avvio dell’esame approfondito. «Abbiamo aperto un’indagine molto dettagliata che vogliamo portare avanti – spiega all’inaugurazione dell’anno accademico alla Bocconi di Milano – ma vogliamo arrivare in anticipo rispetto alla scadenza legale. Dobbiamo essere veloci e se troveremo eventuali problematiche di concorrenza sarà il compratore a doversene occupare».
Nell’attesa della decisione, i piani produttivi restano confermati, con ArcelorMittal impegnata a innalzare l’output diretto di Ilva, arrivando nel 2024 a otto milioni di tonnellate grazie alla riattivazione dell’altoforno 5, quantità che lieviterà oltre quota 10 milioni di tonnellate grazie all’importazione di semilavorati. Il piano, che sarà preceduto dagli interventi ambientali, prevede in generale l’innalzamento degli standard qualitativi, dei livelli di servizio e dei tempi di consegna, migliorando nel complesso la produttività degli impianti, sfruttando dunque al meglio un asset «che non ha ancora potuto esprimere il suo pieno potenziale». Un investimento, quello in Italia, che per Mittal è anche conseguenza di una ritrovata forza della domanda mondiale, con il settore dell’acciaio a vivere condizioni migliori rispetto a quanto accadeva due anni orsono, in presenza di una forte sovracapacità produttiva.
L’incognita principale sul mercato resta quella delle nuove normative ambientali, con la possibilità che l’asimmetria regolamentare tra Paesi crei l’ennesima disparità tra Europa e resto del Mondo. «La differenza nei costi di produzione tra acciaio “pulito” e quello ad alto impatto ambientale – spiega il ceo – può arrivare fino al 10%. L’acciaio europeo può avere un grande futuro, ma solo se il terreno di gioco è uguale per tutti».
Nessun dubbio, comunque, da parte di Aditya Mittal, sul fatto che all’interno di questo scenario Ilva rappresenti un asset strategico, un valore per tutti gli stakeholder che al termine del processo garantirà una produzione sicura e sostenibile. «Da un lato si tratta per noi di un’opportunità incredibile – spiega – a cui si aggiunge però una grande responsabilità nell’operare bene. E questo è un ruolo che in ArcelorMittal prendiamo con grande serietà»
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