Economia

L’eredità di Mister Ikea, l’Henry Ford dei nostri tempi

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ADDIO A INGVAR KAMPRAD (1926-2018)

L’eredità di Mister Ikea, l’Henry Ford dei nostri tempi

È morto, a 91 anni, il Signor Ikea. Con lui, se ne va uno dei grandi demiurghi dell'economia contemporanea. Si chiamava Ingvar Kamprad. La prima parte del Novecento è stata segnata da Henry Ford. La seconda parte del Novecento, anche, da questo svedese che ha fondato la sua azienda nel 1943, coniandone il nome aggiungendo alle sue iniziali – appunto I e K - quelle dei nomi della sua fattoria – Elmtaryd, dunque E – e del suo villaggio di nascita Agunnaryd (quindi, A). Henry Ford ha creato la fabbrica moderna, l'ha organizzata secondo i criteri del taylorismo, ne ha standardizzato i risultati (uno e un solo colore per le sue automobili) e ha pagato bene i suoi operai, così che potessero a loro volta diventare soggetti attivi di consumo.

Ingvar Kamprad ne ha imparato la lezione, l'ha immersa in una economia internazionale che dal Secondo Dopoguerra ha sperimentato l'integrazione profonda dei mercati e l'integrazione graduale delle strutture produttive fra Paesi confinanti e l'ha applicata al suo settore specifico: la costruzione e la vendita dei mobili.

Lo ha fatto sfruttando tutti i vantaggi e ogni asimmetria della realtà internazionale degli ultimi settant'anni: in un modello imprenditoriale peraltro spesso criticato per la scarsa trasparenza della capogruppo, con dati e numeri aziendali lesinati al mercato e il culto della riservatezza per l'azienda e per i suoi vertici, Kamprad non ha esitato – laddove era possibile per le legislazioni locali - ad adoperare livelli retributivi – con dipendenti e fornitori – non sempre in linea con gli standard scandinavi.

La progressiva trasformazione del capitalismo manifatturiero internazionale in un meccanismo integrato di filiere incrociate – appunto fra Paesi confinanti, in questo caso specifico l'area scandinava, e fra Paesi non confinanti, con il fenomeno della delocalizzazione - ha cambiato gli equilibri fra produzione, logistica e marketing. Il Signor Ikea ha portato all'estremo questa tendenza, che è iniziata nella seconda parte del Novecento e che rappresenta bene lo spirito del capitalismo odierno. Ingvar Kamprad ha capito che, soprattutto in un settore come il suo a bassa intensità di capitale fisso, la logistica e il marketing avevano – e hanno – la prevalenza sulla produzione.

La sua impresa, che ha un numero di dipendenti abbondantemente superiore ai 150mila addetti e un fatturato annuo di 35 miliardi di euro, ha un modello di business basato sulla riduzione estrema dei costi di produzione e su un controllo maniacale della filiera della fornitura, con l'obiettivo di avere sempre e comunque un controllo della qualità accurato e pervasivo. Il tutto sintetizzato nella standardizzazione dei prodotti che, in maniera proporzionale alla crescita impetuosa di Ikea in tutto il mondo, hanno poi potuto progressivamente diversificarsi e articolarsi, così da incontrare il gusto dei consumatori. Un modello di sviluppo fondato anche sulla non semplice ricerca dell'equilibrio fra la qualità e i prezzi bassi. Un equilibrio reso possibile dal marketing, capace di persuadere intere generazioni di acquirenti che in quei prodotti vi fosse – vi sia - un contenuto estetico accettabile e soprattutto uno stile di vita fatto di sobrietà, di razionalità e, da ultimo, di rispetto per l'ambiente.

Ma, soprattutto, un equilibrio fra finanza di impresa e manifattura reso possibile dalla macchina logistica creata nei decenni in tutto il mondo. Questa centralità della logistica – con migliaia di nodi produttivi e distributivi interconnessi - resta davvero l'elemento che fa della creatura di Ingvar Kamprad uno degli specchi che meglio restituiscono la fisionomia del mondo contemporaneo e della sua economia: un mondo contemporaneo e una economia in cui il valore aggiunto si crea nella capacità di gestire migliaia di transazioni fra beni materiali e immateriali, nella abilità di conservare prodotti e di farli avere al minore dei costi possibili ai consumatori ovunque essi siano, nella forza di collegare la razionalità economica più estrema con i desideri e gli impulsi più profondi dei consumatori. In questo, davvero, la creatura che lascia il Signor Ikea rappresenta un punto di congiunzione fra il capitalismo del primo Novecento della Ford – inteso come modello economico e come antropologia – e il capitalismo del nuovo millennio, quello della Apple e di Amazon.

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