Non deve esserci nessuna strumentalizzazione, ma dobbiamo avere la lucidità di avviare una riflessione seria sulla profonda lacuna del fronte sicurezza, che comunque c’è, e sulle responsabilità di un sistema che non ha mai affrontato in modo strutturato un problema serio quale quello dell’immigrazione». Le parole sono di Gianluca Pesarini, presidente di Confindustria Macerata. Una città che si trova a fare i conti con la brutale morte di Pamela Mastropietro, il raid razzista di Luca Traini e un territorio che si scopre fragile, anche per i 10 anni di crisi e delle conseguenze del terremoto di un anno e mezzo fa.
Pesarini, presidente di Confindustria Macerata, parte da un punto fermo: «Non possiamo consentire che rancore e sdegno vadano oltre il rispetto della persona. Il raid di sabato scorso è inammissibile e non si può rispondere a un fatto di tanta crudeltà con l’odio che alimenta altra violenza».
Dentro le fabbriche l’integrazione è iniziata quasi trent’anni fa e non si è mai interrotta. «E continuerà a essere tale perché il lavoro avvicina, crea solidarietà – spiega Adolfo Guzzini, presidente di iGuzzini Illuminazione -. Anche da noi, i lavoratori stranieri svolgono ruoli importanti e non abbiamo mai avuto conflitti».
Il lavoro come antidoto all’odio razziale e come spinta all’integrazione, quindi, nonostante gli effetti della crisi: nel 2008, il tasso di disoccupazione era del 4,3%, il secondo migliore delle Marche dopo Ancona (3,8%). Nel 2013 aveva toccato il 12,8%. Nel 2016 è ridisceso al 9,3%, ma distante dai livelli pre-crisi. Il tasso di occupazione era al 65,2% nel 2008 e solo mezzo punto in meno a fine 2016. Nel 2017, gli occupati in provincia erano 130mila. Secondo dati Inail (al 2015), i lavoratori nati all’estero erano poco meno di 15mila, il 19% dei quali con contratto a tempo indeterminato; gli imprenditori erano 4mila: mille commercianti.
Le aziende che occupano lavoratori stranieri e, in particolare cittadini extracomunitari, sono diverse in tutta la provincia e, in molti casi rappresentano buone pratiche di integrazione e produttività:
Un caso è quello della Nuova Simonelli: «Della morte di Pamela e del raid vendicativo se ne parla anche in fabbrica: sono episodi di una brutalità estrema – dice Nando Ottavi, presidente di Simonelli Group di Belforte del Chienti, leader della produzione di macchine per caffè professionali – L’azienda ha rapporti commerciali solidi anche con l’Africa e se ne occupa un trentenne congolese, che ha studiato e si è laureato a Macerata: un profilo eccellente» dice Ottavi.
Altri esempi, nel settore metalmeccanico, quelli della Lead Time di Caldarola e della Fonderia Val Chienti di Civitanova; nel settore calzaturiero, e in particolare nel comparto dei suolifici, Mondial di Porto Recanati e il Gruppo Eurosuole di Civitanova Marche.
«Rispettiamo e valorizziamo l’individuo, perché italiano o straniero che sia contribuisce giorno e notte al successo dell’azienda – spiega Germano Ercoli, patron di Eurosuole e GoldenPlast – perché l’ingresso dei lavoratori stranieri (una sessantina al momento) è accompagnato a monte. Una volta in organico, però, hanno diritti e doveri come i colleghi italiani: questa parità di trattamento ci ha permesso, per oltre vent’anni, di non registrare episodi negativi». E così nessuno obietta se, nella fabbrica che punta a diventare la prima in Europa per la produzione di suole, il capo turno non è italiano.
«Nel maceratese c’è una presenza di migranti di lungo corso, come in tutta la regione – osserva Daniela Barbaresi, segretaria della Cgil Marche -: la nostra è una storia di inclusione e integrazione intelligente. Oggi, italiani e stranieri risentono insieme del peso della crisi e mi dispiace che possa passare nell’immaginario collettivo l’idea di disagio o di mancata integrazione sui posti di lavoro».
«Tra i lavoratori, italiani e stranieri, più che mai c’è il desiderio di custodire il capitale rappresentato dall’integrazione – aggiunge Silvia Spinaci, responsabile della Cisl di Macerata –, anche se di fronte ai gravi fatti ai quali abbiamo assistito c’è disorientamento e sconcerto».
Le vicende che hanno portato alla ribalta Macerata («città che ha una storia di solidarietà e accoglienza. E vuole testimoniarlo ancora», dice il sindaco Romano Carancini) nascono da un disagio esterno alle fabbriche e nonostante i piccoli progetti per lavori di pubblica utilità messi in campo con il contributo delle associazioni di volontariato e del sindacato. «Nasce da chi non è dentro il processo di integrazione garantito dal lavoro», secondo Barbaresi. «E chi un lavoro non ce l’ha – osserva Guzzini – ha purtroppo altre esigenze, che spesso si traducono in reati diffusi, nonostante il lavoro delle forze dell’ordine».
Anche l’università di Macerata prova a recitare un ruolo di collante, attraverso – scrive il rettore Francesco Adornato in una lettera a studenti e personale – «confronti con le istituzioni per rafforzare il senso dell’essere comunità e per far prevalere le ragioni del dialogo e della convivenza civile».
«Ho a cuore la mia città, la forte volontà di proteggerla verso la normalità, il nostro quotidiano incedere tra bellezze e problemi» dice il sindaco Carancini.
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