Sulla scacchiera dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) muove la sua pedina anche la Farnesina. Anzi, più di una, visto che il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha fatto partire comunicazioni ad hoc indirizzate ai singoli ambasciatori ospitati negli Stati membri dell’Unione.
Con i modi felpati e discreti tipici della diplomazia, gli ambasciatori saranno chiamati a verificare quali sono le carte da giocare nei confronti degli Stati che finora, dopo la votazione che ha portato da Londra ad Amsterdam la sede dell’Ema, hanno preferito stare fuori dai giochi e lasciare che la partita si giocasse solo sull’asse Italia-Olanda.
Le cose, però, sono ora vissute con una sensibilità diversa, soprattutto dopo che appare sempre più chiaro che l’agenda dei costi, la tempistica per il nuovo edificio e le procedure promesse dal governo olandese non saranno verosimilmente rispettate.
Così gli ambasciatori dovranno verificare la volontà delle nazioni ospitanti di riaprire in sede europarlamentare il capitolo sul dossier presentato a Bruxelles dall’Olanda.
Sarà importante capire la reazione dei singoli Stati membri dopo le notizie degli ultimi giorni sul cambio della futura sede provvisoria dell’Ema ad Amsterdam e sulla conseguente, possibile lievitazione dei costi di affitto. Conteranno i giochi delle alleanze. Come quelle che avevano portato al pareggio tra Milano e Amsterdam al terzo turno delle votazioni dello scorso 20 novembre.
Milano nella prima sessione aveva ottenuto 25 voti. Amsterdam e Copenaghen, le altre due città passate al secondo turno, avevano ottenuto 20 punti ciascuna. Tutti gli altri contendenti erano stati eliminati, compresa Bratislava, data all’inizio in pole position. Milano era poi passata al secondo turno delle votazioni con 12 punti. Amsterdam aveva invece ottenuto 9 punti. Copenhagen ne aveva ricevuti 5 e non era passata al ballottaggio. Al terzo turno, dei 5 voti andati a Copenhagen 4 erano stati dirottati sulla città olandese e così Milano e Amsterdam erano finite in parità: 13 a 13, vista l’astensione della Slovacchia. Poi il sorteggio era stato favorevole all’Olanda. L’Italia sarebbe stata votata da Bulgaria, Romania, Grecia, Slovenia, Malta, Cipro e Croazia. Questi sono, almeno, i Paesi che lo hanno dichiarato apertamente. Nell’urna si sarebbero poi aggiunti – secondo indiscrezioni non confermate – i voti di Francia, Portogallo, Repubblica Ceca ed Estonia. Sconosciuto il tredicesimo Paese. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi Irlanda o Svezia.
E allora, compito degli ambasciatori sarà quello di riferire alla Farnesina, che a sua volta ha aperto il “fascicolo Ema” con la volontà di portarlo avanti fino in fondo giocando di sponda, ovviamente, con il governo italiano e con il Comune di Milano. Già, perché quest’ultimo – che nei giorni scorsi ha presentato con l’avvocato Francesco Sciaudone dello Studio Grimaldi una serie di ricorsi e petizioni per riaprire i giochi – è stato informato delle mosse del ministero degli Esteri. Non solo. L’amministrazione milanese, con i suoi consulenti, da martedì avrà a Bruxelles una serie di incontri per tastare il polso non solo di alcuni gruppi e di singoli europarlamentari, ma anche delle associazioni degli industriali farmaceutici.
L’interesse del Comune guidato da Giuseppe Sala è capire se davvero, fuori dai confini italiani, si ha fino in fondo la percezione di quanto potrebbe accadere con l’incremento dei costi. L’Ema è governata da un consiglio di amministrazione, composto da 36 membri, che definiscono il bilancio dell’agenzia e ne approvano il programma di lavoro annuale. Il bilancio dell’Ema pesa anche sui conti dell’Unione europea al punto che la Corte dei conti europea potrebbe indagare sull’operazione ed è forse anche per questo che una nazione attenta alla spesa, come la Germania, nei giorni scorsi ha cercato e voluto un incontro del suo Consolato generale a Milano con il Gabinetto del sindaco Sala.
Le associazioni degli industriali finora sono state alla finestra. C’è chi comincia a chiedersi perché deve gravare sulla loro quota parte l’aggravio dei costi. Come ha ricordato criticamente già nel 2016 lo scienziato Silvio Garattini, «l’Agenzia è diventata nel tempo sempre più dipendente dal punto di vista economico dall’industria, pur facendo parte del direttorato Salute. Se un tempo infatti il contributo dell’industria era pari al 71% dell’intero bilancio dell’ente, oggi è passato all’83%, con 250 milioni». Il resto sono finanziamenti dell’Unione europea e dei singoli Stati membri. In effetti nel budget per il 2017 Ema ha indicato 332,1 milioni di introiti, generati per l’88,5% (pari a 285 milioni) dalle commissioni per i servizi effettuati, e quindi generalmente pagati dalle industrie del settore, per il 5% provenienti dalla Ue e per la quota rimanente da altre fonti.
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