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Dossier Il nodo energia spinge a innovare

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    Dossier | N. 11 articoliRapporto Toscana

    Il nodo energia spinge a innovare

    Non ci sono solo la lentezza della giustizia, la burocrazia e i vincoli urbanistici a turbare il sonno delle aziende toscane che inseguono la ripresa. Uno degli ostacoli più insidiosi, in termini di costi e dunque di competitività, è la questione energetica e dello smaltimento dei rifiuti industriali, diventata negli ultimi mesi una vera e propria emergenza. E anche un cruccio: all’estero gli scarti delle lavorazioni vengono bruciati per produrre energia, in Toscana (e in gran parte d’Italia) è quasi impossibile costruire impianti di questo tipo.

    Scenari

    È così che gruppi industriali minacciano di andarsene o di ridimensionarsi a causa degli alti costi energetici (la chimica Solvay, il rame Kme); i distretti alzano sempre più la voce per avere sconti sull’energia e impianti di smaltimento (il tessile di Prato, la carta di Lucca); il polo siderurgico di Piombino (ex Lucchini, Magona) resta “appeso” alla riduzione dei costi energetici. L’ultima batosta è di pochi giorni fa: la Commissione Ue ha escluso dalle agevolazioni alle imprese energivore il comparto della nobilitazione, e dunque le tintorie e le rifinizioni strategiche per il distretto tessile di Prato.

    In questo scenario, la consapevolezza diffusa è che il traguardo della sostenibilità energetica passi per la strada dell’innovazione e della sperimentazione, che la Toscana peraltro ha cominciato a percorrere da anni.

    Impianti e innovazione

    L’operazione più grande, valore circa 600 milioni, è stata la costruzione del primo rigassificatore galleggiante al mondo, ormeggiato a 22 chilometri dalla costa di Livorno, a opera della società Olt Offshore. Ma quest’impianto, entrato in funzione a fine 2013, è stato inserito dal Governo tra le opere energetiche di interesse strategico nazionale e non è servito ad alleggerire la bolletta di aziende e distretti.

    Più utile per l’economia del territorio promette di essere l’altro rigassificatore proposto anni fa dal gruppo energetico Edison nel parco industriale Solvay di Rosignano (Livorno), riprogettato a fine 2015 e avversato da Regione e Comune. La stessa Solvay, produttore di carbonato di sodio, si è sempre detta interessata all’utilizzo dell’impianto, anche se nel frattempo, per evitare di fare le valigie a causa degli alti costi energetici, ha trovato una soluzione-tampone aiutata dai contributi pubblici: ha trasformato la centrale turbogas all’interno del parco industriale in un impianto ad alta efficienza, ricevendo 11,1 milioni di sgravi fiscali e incentivi da Governo e Regione Toscana a fronte di un investimento da 40 milioni.

    Sulla strada dell’innovazione si è incamminata anche l’aretina Graziella Green power della famiglia Gori, decisa ad aprire il mercato della geotermia “green” con la costruzione della prima centrale italiana a zero emissioni, della potenza di cinque megawatt, a Castelnuovo Val di Cecina (Pisa). L’investimento, da realizzare in partnership con la multinazionale francese Engie, è di 50 milioni e l’avvio dei lavori di perforazione è previsto all’inizio del 2019.

    La tecnologia innovativa caratterizza infine il pirogassificatore, progettato dal gruppo del rame Kme per risolvere due problemi: avere energia elettrica a prezzi contenuti per la fabbrica metallurgica della Garfagnana e smaltire i fanghi (120-130mila tonnellate all’anno) che risultano dal riciclaggio della carta da macero, utilizzata dalle aziende del vicino distretto cartario di Lucca. «È inconcepibile che in Toscana, dove si riciclano 1,2 milioni di tonnellate di carta all’anno, non ci sia un impianto per recuperare gli scarti – ammonisce Massimo Medugno, direttore di Assocarta –, così si mettono a rischio l’economia circolare e la competitività dell’industria del riciclo».

    Questione scarti di lavorazione

    Lo smaltimento dei rifiuti industriali, del resto, è oggi il tallone d’Achille della Toscana. Per anni il problema è stato accantonato e ora la Regione si trova a fare i conti con l’assenza di impianti e con la necessità di dare risposte alle aziende che sopportano alti costi per trasportare gli scarti negli inceneritori lontani e lamentano perdita di competitività.

    Oltre che per i fanghi di cartiera, l’allarme è scattato per gli scarti tessili, circa 45mila tonnellate all’anno prodotte da gran parte delle aziende della filiera moda del distretto di Prato. Al punto che, per far fronte all’emergenza, gli industriali stanno esplorando la strada del trasporto all’estero, via treno. «In Austria abbiamo trovato impianti disposti ad accogliere questi scarti», ha annunciato Marcello Gozzi, direttore di Confindustria Toscana Nord (Prato, Pistoia, Lucca).

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