Economia

Dossier L’azienda toscana attira investitori

  • Abbonati
  • Accedi
    Dossier | N. 11 articoliRapporto Toscana

    L’azienda toscana attira investitori

    Castelli e tenute agricole continuano a passare di mano, come avviene ormai da decenni. Ma la vera sorpresa dell’ultimo anno, in Toscana, è l’appeal che la manifattura sta esercitando verso gli investitori provenienti da fuori regione - stranieri ma anche italiani - sempre più spesso a caccia di prodotti di lusso, artigianato di qualità, nicchie tecnologiche, saper fare tradizionale, cioè gli ambiti in cui il ”made in Tuscany” è forte e radicato. Il risultato è che le acquisizioni di aziende industriali nel 2017 hanno raggiunto livelli record, alimentando un mercato dell’M&A effervescente come mai prima d’ora. E il fenomeno, a sentire gli esperti, è destinato a continuare nei prossimi anni, grazie proprio alle caratteristiche delle aziende toscane.

    I passaggi di mano interessano gran parte dei comparti manifatturieri della regione, dalla meccanica alla moda, dalla carta alla nautica, dall’informatica all’agroalimentare, dall’illuminazione alla farmaceutica, dall’arredobagno all’energia, dalla monetica ai profumi. Tra le operazioni concluse spiccano quelle relative a Targetti, Devon&Devon, Amedei, Frendy Energy, Metallarte, Rifle, Infogroup, Revet Vetri, Copaim, Fiore e - sopra tutti - Tagetik, l’azienda lucchese fondata da Pierluigi Pierallini (57 milioni di ricavi nel 2016) che ha inventato software per il bilancio consolidato, cui va la corona di regina toscana dell’M&A: il colosso olandese Wolters Kluwer l’ha pagata 300 milioni di euro.

    Tra gli acquirenti di “peso” ci sono l’americana Garmin, che ha comprato la Navionics di Viareggio (carte nautiche); il gruppo tedesco Koerber, che dopo Fabio Perini ha acquisito un’altra azienda della meccanica per la carta, la Mtc di Porcari; l’Istituto centrale delle banche popolari (Icbpi) che ha comprato il 100% della Bassilichi, attiva nella monetica; il colosso dell’automazione mondiale Comau che ha investito negli esoscheletri prodotti dalla startup della Scuola Sant’Anna, Iuvo; la famiglia di Dino Tabacchi che ha comprato il 49,99% della Perini Navi. Dalla Cina è arrivato il consorzio - composto tra gli altri da Jack Ma, patron del gruppo Alibaba - che ha rilevato il 100% di Esaote, leader nella diagnostica per immagini con stabilimenti a Firenze e Genova. Grande l’attivismo dei fondi: gli inglesi Oxy Capital e Attestor Capital hanno acquisito il 51% della Montalbano (sottoli); “21 Investimenti” di Alessandro Benetton ha comprato la maggioranza del brand di pelletteria Gianni Chiarini; Alto Partner ha rilevato il 71,8% della Tricobiotos (prodotti professionali per i capelli); l’inglese BlueGem ha acquisito il 70% del marchio fiorentino Dr. Vranjes (fragranze d’ambiente). E ancora la svizzera Kora Investments si è assicurata il 44% dei jeans Rifle. Il 2018 si è aperto ancora in modo brillante, con i passaggi di mano del gioiello del segnalamento ferroviario Ecm di Serravalle Pistoiese alla multinazionale americana Caterpillar e dell’azienda di pelletteria fiorentina Effeuno al gruppo emiliano Furla.

    «È un trend in atto che proseguirà per tre ragioni», spiega Lorenzo Parrini, partner di Deloitte Financial advisory basato a Firenze, che nel luglio scorso ha seguito la vendita di Dr. Vranjes. «Innanzitutto - aggiunge - perché sul mercato c’è una quantità crescente di denaro, sotto varie forme; poi perché c’è grande attenzione da parte degli investitori industriali, soprattutto asiatici, per settori in cui l’Italia e la Toscana sono forti, dalla moda al food; e infine perché le aziende appetibili sono sempre più interessate a vendere». L’età avanzata degli imprenditori partiti nel Dopoguerra, il passaggio generazionale, l’assenza di struttura manageriale spingono più che in passato a valutare operazioni di partnership o di cessione. «Sul mercato c’è grande fermento - spiega Francesco Ferragina, titolare dell’advisor fiorentino Kon che ha seguito la vendita delle fiorentine Giotti e Drogheria&Alimentare al gruppo americano McCormick - anche perché sono davvero tanti i soggetti che cercano brand del made in Italy, nicchie tecnologiche, saper fare italiano. Rispetto al passato poi sono spariti i ”predatori”, che puntavano a comprare a prezzo basso per rivendere a breve termine; oggi gli investitori sono industriali, di lungo periodo e cercano lo sviluppo strategico».

    Neppure le dimensioni aziendali sono più un problema: interessano anche piccole realtà, a patto che abbiano caratteristiche distintive e siano sane. «La domanda di aziende supera addirittura l’offerta - dice Filippo Giabbani, coordinatore dell’ufficio Attrazione investimenti della Regione Toscana che affianca gli investitori per semplificare contatti e procedure burocratiche - e anche le piccole operazioni stanno diventando centrali per sviluppare ricerca e innovazione: ecco perché se un grande gruppo trova una startup innovativa nel settore di suo interesse, la compra».

    © Riproduzione riservata